Skip to main content

Calabrese e Grignaffini: “Promessi Sposi, dal già detto all’immaginazione”

Giorgio Grignaffini

“Promessi Sposi, dal già detto all’immaginazione”

Per Carocci una miscellanea sui prequel del capolavoro manzoniano interpretati da più media

Giorgio Grignaffini

Un testo che a prima vista può sembrare eterodosso, in quanto contiene una rilettura, attraverso vari media, di un classico della letteratura italiana come i Promessi Sposi. Una ricostruzione che vuole affrontare soprattutto i prequel del romanzo, vedendolo attraverso varie lenti, come quello di una serie televisiva. Ed è proprio sulle serie televisive che si è appuntata questa conversazione con Stefano Calabrese, docente di Comunicazione narrativa all’Università di Modena e Reggio, e Giorgio Grignaffini, direttore editoriale della Taodue Film (Gruppo Mediaset), nonché docente alla Cattolica di Milano. Spunto, La bottega delle narrazioni, un libro curato da loro e uscito recentemente per la Carocci, nonché Che cos’è una serie televisiva, scritto a due mani da Grignaffini e Andrea Bernardelli nel 2017.

Com’è nata l’idea di rivedere un romanzo paradigmatico come I Promessi Sposi alla luce di vari media, e qual è il filo rosso che lega tutti i loro diversi punti di vista al capolavoro di Manzoni? L’idea del libro è quella di fornire al lettore le istruzioni necessarie per organizzare una narrazione nei principali media. SI trattava quindi, attraverso il contributo di affermati professionisti del settore, di spiegare i meccanismi tecnici di costruzione di una storia, prescindendo dall’altro elemento fondamentale che caratterizza l’operato del narratore, cioè la creatività. Per eliminare il fattore necessariamente individuale del trovare l’idea giusta, abbiamo deciso di chiedere a tutti i professionisti che abbiamo contattato, di cimentarsi andando a colmare un “non detto” di uno dei pochi testi che praticamente tutti i lettori italiani conoscono perché parte integrante dei programmi scolastici. Immaginarsi quello che ora chiamiamo il “prequel” dei Promessi Sposi, dava così a tutti i contributori un terreno comune di lavoro, in modo da rendere più evidenti le differenze tecniche relative ai diversi media. Il filo rosso è rintracciabile nel lavoro che tutti gli autori hanno fatto per chiarire uno degli snodi narrativi fondamentali dei Promessi Sposi – il motivo che spinge Don Rodrigo a impedire il matrimonio di Renzo e Lucia – su cui Manzoni non si dilunga troppo e che quindi può lasciare adito a interpretazioni differenti.

Nell’introduzione ai saggi contenuti in La bottega delle narrazioni voi fate una breve disamina narratologica del fenomeno complesso del racconto. Secondo voi, per fare una buona storia contano più l’intreccio o i caratteri, per dirla con termini aristotelici? E quanto conta questa miscela per costruire una buona serie televisiva?

Da un punto di vista teorico i due termini non sono separabili: intreccio e personaggi sono uno conseguenza dell’altro. Dal punto di vista pratico, partendo dalla mia esperienza professionale

Stefano Calabrese

nel settore della serialità televisiva, negli ultimi anni il modo di lavorare degli sceneggiatori sta privilegiando i personaggi, nel senso che il racconto nasce da uno spunto narrativo iniziale in cui è presentato il protagonista e poi il resto della storia tende a esplorare le reazioni di quest’ultimo di fronte ai fatti che sono accaduti. Questo accade soprattutto con le serie che presentano una narrazione unica che prosegue episodio dopo episodio e non ricorrente come invece accadeva di più in passato: in altre parole, nelle serie che prevedono il caso di puntata (pensiamo ad esempio al classico poliziesco come Il commissario Montalbano o Don Matteo) il personaggio, pur fondamentale per caratterizzare la serie non si sviluppa, è funzionale alla risoluzione del caso giallo. Tutto questo non accade invece nelle serie serializzate come ad esempio L’amica geniale dove invece è proprio l’evoluzione del main character ad essere al centro.

Nel suo contributo Luigi Forlai dice che le serie televisive sono un fenomeno complesso, che necessita di personaggi fondamentali (nomade, re, ricercatore, amante, guerriero) che possono ibridarsi, e di linee narrative, semplici o complesse. Quanto c’è di proppiano in tutto quello che afferma? Non si ritorna alla vecchia tipologia di caratteri fissi, come nella fiaba, che possono compiere ventotto funzioni?

La “morfologia della fiaba” di Propp è sicuramente uno dei modelli teorici più rilevanti nel campo della narratologia, così come quella di Campbell riguardante il viaggio dell’eroe nei miti di tutti i popoli: l’idea di fondo è proprio quella di ritrovare delle invarianti alla base di tutti i racconti, che siano le fiabe o i miti. Entrambi questi contributi stanno alla base di tutta la manualistica più recente che ha influenzato e influenza tuttora il modo di lavorare degli sceneggiatori cine-televisivi di tutto il mondo.

Qual è la chimica necessaria per “far funzionare” una fiction? Quanto conta il budget, per esempio, e quanto conterebbe per mettere in forma un romanzo storico come I Promessi Sposi? Ce ne potrebbe parlare, Giorgio, anche alla luce del suo Che cos’è una serie televisiva, scritto da lei insieme ad Andrea Bernardelli?

Una fiction è un prodotto audiovisivo molto costoso e sta diventando ancora più costoso con l’aumentare della concorrenza a livello internazionale. Disporre di un budget elevato è un requisito fondamentale per poter realizzare serie di alta qualità; una serie “period” cioè “in costume”, come i Promessi Sposi, ricca di scene di massa (pensiamo all’assalto ai forni di Milano o alla peste) richiederebbe senza dubbio uno sforzo economico importante che probabilmente in questo periodo storico sarebbe possibile solo con la partecipazione al budget di più soggetti (una rete televisiva nazionale, una piattaforma streaming, una coproduzione internazionale).

MARIA GRAZIA FALÀ