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“Meme, un’anima social dallo sport, alla politica, alla grammatica”

Una chiacchierata a tre voci con Debora de Fazio e Pierluigi Ortolano sul loro La lingua dei meme, edito da Carocci

Debora de Fazio e Pierluigi Ortolano

Una forma comunicativa, i meme, ampiamente diffusa sui social, ma che è stata chiamata così non da un linguista o da un informatico, bensì da un biologo evolutivo, Richard Dawkins. Un’accurata tipologia con cui possono essere classificati (meme dialogici, muti, ecc.); una diffusione ampiamente attestata in ambito sportivo e politico, per cui uno tra i personaggi italiani più “memati”, è stato senz’altro Berlusconi. Quanto c’entrano poi le fake news con i meme? Relativamente poco, in quanto essi sono tendenzialmente umoristici, scherzosi e satirici. Infine, i meme utilizzati per “curare” gli errori grammaticali: è quanto stanno facendo illustri istituzioni italiane come l’Accademia della Crusca e Treccani. Di questo si è parlato, in un’intervista a tre voci, con Debora de Fazio, docente di Linguistica italiana all’Università della Basilicata, e con Pierluigi Ortolano, sempre docente di Linguistica italiana all’Università di Chieti-Pescara, a proposito del loro La lingua dei meme, edito di recente per Carocci.

Quando è nato il termine meme?

P.O. e D.d.F. Il termine meme ha un papà d’eccezione, che non è né un linguista né un informatico. Si tratta infatti di Richard Dawkins, biologo evolutivo e docente di Comunicazione della scienza all’Università di Oxford. Lo scienziato nel 1976 pubblicò un libro dal titolo “The Selfish Gene” (tradotto in italiano nel 1979 con il titolo “Il gene egoista”) e concentrò la definizione del termine in queste considerazioni: “Il nuovo brodo è quello della cultura umana. Ora dobbiamo dare un nome al nuovo replicatore, un nome che dia l’idea di un’unità di trasmissione culturale o un’unità di imitazione. “Mimeme” deriva da una radice greca che sarebbe adatta, ma io preferirei un bisillabo dal suono affine a “gene”: spero perciò che i miei amici classicisti mi perdoneranno se abbrevio mimeme in meme. Se li può consolare, lo si potrebbe considerare correlato a “memoria” o alla parola francese même. (Dawkins, 1976/1992, pp. 186-187).

Si può fornire una sua tipologia?

P.O. Indubbiamente il meme rappresenta il tratto evolutivo e digitale della vignetta; si pensi alle vignette di Forattini, tanto per fare un esempio: un’immagine con una didascalia o una battuta pronta a far sorridere ma anche a far riflettere sull’essenza del messaggio.

D.d.F. Ce ne sono tante: meme dialogico (che vede interagire più personaggi; con varie “soluzioni”, anche grafiche), meme cartello (in cui manca un’immagine vera e propria e il fulcro comunicativo è rappresentato dalla parte verbale), meme muto (costituiti dalla sola immagine, fortemente iconica), meme striscia (che richiama la struttura del fumetto), e varie altre.

Qual è il rapporto tra meme e sport?

P.O. e D.d.F. Il meme trova campo fertile nell’àmbito dello sport; le motivazioni sono scontate, perché si tratta di attività che favoriscono il dibattito, lo scherzo, spesso l’insulto e comunque l’interazione fra sportivi, tifosi e utenti della rete. Basta sfogliare una qualsiasi edizione online di un quotidiano del settore per imbattersi in meme che commentano sconfitte, eventi particolari o dibattiti sul weekend calcistico.

Se consideriamo il linguaggio sportivo come un collettore di «diversi generi di discorso orale o scritto finalizzati al resoconto e al commento di eventi e personaggi», esso risulta caratterizzato da frequenti interazioni con altri mondi comunicativi come la politica, il giornalismo, il gossip e la cultura sportiva in genere.

Proprio per la sua natura comunicativa e per il fatto che il coinvolgimento riguarda una fetta significativa degli utenti della rete, lo sport entra a pieno titolo tra i settori memabili.

Quanto sono usati in ambito politico i meme, e quali sono i personaggi istituzionali più bersagliati?

P.O. Così come per lo sport, anche la politica ha i suoi personaggi “memabili” e nel nostro libro il campionario è molto vasto. Ho capito che più un politico è “memato” e più si sente conosciuto al grande pubblico. È sufficiente che accada un evento che coinvolge un politico di punta e subito, in rete, scatta la gara al meme per rendere più simpatico uno scivolone linguistico, una battuta fuori luogo o il mettere in risalto una peculiarità umoristica del politico stesso.

D.d.F. È proprio come dice il mio collega. Anche la politica ha alcuni personaggi che si prestano particolarmente. Per dire una banalità: soltanto con i meme relativi a Silvio Berlusconi si potrebbe scrivere un intero libro…

I meme rappresentano, in qualche caso, un rischio per la democrazia, come dimostra la connessione tra meme e fake news, che talvolta contribuiscono ad alimentare…

P.O. Sinceramente non credo che i meme possano rappresentare un rischio per la democrazia; così come la satira rende allegra ma nello stesso tempo riflessiva la comunicazione di tutti i giorni, anche i meme, nella loro peculiarità, possono portare a riflettere su alcuni spunti interessanti come quello di migliorare le proprie conoscenze linguistiche o grammaticali.

D.d.F. Si tratta senz’altro di un aspetto interessante, più che altro dal punto di vista delle tecniche retoriche impiegate per progettare meme del genere. Ma si tratta di un fenomeno complesso che andrebbe studiato a largo raggio.

I meme, che tendono verso un italiano standard improntato, assai spesso per fini umoristici, verso il romanesco, sono però, in molti casi, sgrammaticati…

P.O. In parte è vero, ma è la comunicazione dei nostri tempi e va accettata. Piuttosto, è importante poter vedere il bicchiere mezzo pieno in questa circostanza e il linguista ha il dovere di credere che da questa forma di comunicazione possa nascere qualcosa di buono. Il libro nasce proprio con questo intento: insegnare la grammatica partendo dal meme, anche dall’errore di grammatica, perché siamo certi che l’errore rimanga più impresso nella mente dello studente. Il fine da cui nasce questa pubblicazione, e per questo ringraziamo il nostro editore Carocci che ha creduto sin dall’inizio a questo progetto, prende spunto dall’umorismo pirandelliano: l’umorismo è il sentimento del contrario; sul momento il meme crea ilarità, divertimento. Poi, attraverso una sana riflessione, potrebbe diventare uno spunto per capire meglio come modulare la lingua italiana ed evitare strafalcioni linguistici.

D.d.F. Sì, è vero, ci sono alcuni “meme sgrammaticati”, ma, come mostriamo nel libro, nella maggior parte dei casi, la distanza dall’italiano medio non è poi così siderale. Piuttosto, alcuni prodotti sono costruiti “a tavolino”: l’evasione dalla norma linguistica serve da ingrediente comico-umoristico.

I meme sgrammaticati, i meme che aiutano ad apprendere l’italiano… Come potrebbe essere usata a fini didattici questa forma comunicativa, insegnando anche le corrette norme grammaticali, in particolare l’ortografia?

P.O. La scelta del meme come forma di comunicazione “social/ grammaticale” non si indirizza solo a campi diafasicamente o diastraticamente bassi, né si può pensare che essi si possano rivolgere solo alla generazione millenial o a quella Z. Da qualche anno anche autorevoli portali digitali come Devoto-Oli, Treccani e Accademia della Crusca scelgono i meme per interagire con i loro lettori. L’intento è di avvicinare la grammatica partendo da un dato semplice: l’errore che crea ilarità e suscita il sorriso ma permette la riflessione, così come ricordava il Maestro Luca Serianni. Da qui la novità didattica del meme, e i grandi dizionari online stanno già lavorando in questa direzione. Prendiamo ad esempio il sito https://www.devoto-oli.it/ e la sezione del “Pronto soccorso linguistico”; all’interno di questa rubrica si forniscono suggerimenti per «orientarsi nelle insidie della comunicazione». Ebbene, tra le insidie della comunicazione ce ne sono alcune che possono arrivare anche ai lettori più giovani o inesperti attraverso il meme. È in atto, dunque, un nuovo modo di comunicare e una nuova forma di insegnare l’italiano: meme e grammatica potrebbero essere la nuova frontiera della didattica 2.0. Considerando tutto questo e interagendo con i principali campi dell’analisi linguistica (la grafia, la fonetica e la fonologia, la morfologia, la sintassi, il lessico e le varietà dell’italiano) si può insegnare la grammatica partendo non dalla definizione ma dall’errore, ricavando poi la definizione. Proviamo quindi a rovesciare la medaglia applicando un metodo deduttivo: un errore resta ben radicato nella nostra mente.

D.d.F. Esatto! D’altronde sia io sia Pierluigi abbiamo cominciato a “testare” l’approccio sui nostri studenti negli atenei in cui lavoriamo. E, al momento, abbiamo ricevuto feedback positivi.

MARIA GRAZIA FALÀ