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Italiano, come cambia tra paleo, neo e post-tv

Per Carocci una Bussola a due mani scritta da Gabriella Alfieri e Ilaria Bonomi

Un’opera, Lingua italiana e televisione, rivista dopo dieci anni, in concomitanza con il “compleanno” di mamma RAI (i suoi settant’anni), e in relazione a un nuovo tipo di televisione, la post-tv, che si è affermata, dopo la paleotv e la neotv, dal 2010, quando la TV di flusso, tipica della neotv, si è frammentata in una miriade di flussi, con l’avvento delle piattaforme. Un italiano che, in questi anni, è passato dal parlato standard o addirittura letterario (soprattutto nella fiction) a uno che in alcuni casi si abbandona a varianti substandard o addirittura a un parlato trascurato. Un parlato serio-semplice che invece tuttora caratterizza i telegiornali, con personaggi di spicco, che danno anche un’impronta linguistica ai loro TG, come fa Enrico Mentana.  Un macrogenere, quello dell’entertainment, che ha subito le maggiori ibridazioni, come si nota anche dal termine ombrello varietà, usato molto spesso per caratterizzare le prime trasmissioni di intrattenimento, e che ha forse più influito, specie con i game show, con tormentoni divenuti virali. Infine, la fiction come “specchio a due raggi”, che da un lato ripropone modelli linguistici, dall’altro li fa propri, riprendendoli dal linguaggio d’uso. Fiction che è passata dai teleromanzi dal tono e dai temi più letterari, a utilizzare, in alcuni casi, l’uso esclusivo del dialetto come finalità espressive. Queste, in sintesi, le principali tematiche affrontate con Gabriella Alfieri, docente di Storia della lingua italiana all’Università di Catania e accademica della Crusca, e con Ilaria Bonomi, ex docente di Linguistica italiana all’Università di Milano, nonché accademica della Crusca, che hanno scritto a due mani questa Bussola per Carocci.

Come viene ripensata quest’opera a dodici anni dalla sua prima uscita?

[Bonomi]: La riedizione, motivata prima di tutto dall’anniversario dei 70 anni della RAI, si è rivelata quanto

Ilaria Bonomi

mai necessaria per i profondi cambiamenti epocali intervenuti nella televisione in questi dodici anni. Per la televisione si prevedeva una rapida fine, e invece, rinnovata e potenziata dalle piattaforme e dalla convergenza con la Rete, e radicalmente modificata nella sua frui­zione, è più viva che mai.

Per le dinamiche produttive e mediatiche, determinante il sovrapporsi di programmazione televisiva nelle reti tradizionali e programmazione sulla Rete tramite canali dedicati o piattaforme digitali. Per le nuove modalità di fruizione, va sottolineato il passaggio da un ruolo passivo a un ruolo attivo da parte dell’utente, che può costruirsi un palinsesto autonomo in base a gusti, interessi o impulsi del momento; può far ripartire un programma con il tasto restart; può addirittura sequenziare intere puntate di serie, o di altri programmi. Fondamentale poi la fruizione condivisa e commentata nei social.

Tra i cambiamenti, non va dimenticato il potenziamento del ruolo informativo della tv durante e dopo la pandemia, che ha generato variazioni sostanziali nei programmi e nei contenuti, ma soprattutto ha rilanciato la televisione come canale autorevole di informazione e di divulgazione scientifica.

Nella nuova edizione, abbiamo rivisto e aggiornato l’intero volume nei singoli capitoli dedicati ai diversi generi, e abbiamo aggiunto un nuovo fondamentale capitolo “La televisione del terzo millennio”, scritto da Daria Motta e Milena Romano, due giovani molto più al passo di noi due autrici ‘storiche’ con le novità intervenute nella tv negli ultimi tempi.

Gabriella Alfieri

Si potrebbe fornire una valutazione linguistica delle tre fasi storiche che ha attraversato la TV, passando da paleotelevisione, a neotelevisione e a post-televisione?

[Alfieri]: Nelle tre fasi della storia della televisione, di cui le prime due individuate da Umberto Eco nel 1983, e la terza introdotta ultimamente per etichettare la tv delle piattaforme web, si rispecchiano le effettive trasformazioni determinatesi nelle modalità di emittenza e ricezione, e di conseguenza nel linguaggio. La paleotv o tv delle origini (1954-75) coincide col monopolio pubblico, caratterizzato da intenti pedagogici e da un italiano aulico e normativo, ma adeguatamente variato in funzione dei diversi generi di programmi. La neotv (1976-2010) nasce con la famosa sentenza della Corte Costituzionale che liberalizzava le emittenti commerciali, ed è caratterizzata da due tendenze di fondo: flusso ininterrotto di trasmissioni e fidelizzazione del pubblico. I telespettatori, che la paleotv mirava a educare e a orientare con attitudine paternalistica, vanno ora blanditi, assecondati anche nei gusti meno elevati. Inoltre hanno la possibilità di interagire nelle trasmissioni, in presenza o, a distanza, con telefonate o chat. Dal punto di vista linguistico si passa da un italiano sorvegliato anche nella pronuncia, e vicino allo standard letterario che all’epoca costituiva anche il modello dell’insegnamento scolastico, a un italiano fluido, vicino al neostandard anche nei generi più ‘impegnati’ (come informazione e divulgazione), e interferito da tratti regionali, con aperture al dialetto, e slittamenti nell’italiano substandard, gergale e trascurato, nei reality e nei talk show più improvvisati. Con la post-televisione l’abbondanza di generi e linguaggi, che già si era profilata con la neo-tv, è diventata quasi caotica. Con lo streaming la tv di flusso si è diversificata in una miriade di flussi: ogni telespettatore può fruire del contenuto televisivo in ogni momento, da qualsiasi tipo di device (computer, i-pad, telefono), interrompendo e riprendendo la trasmissione a proprio piacimento. Ognuno, quindi, può creare il proprio palinsesto, immergendosi completamente nel tipo di linguaggio che caratterizza il genere scelto (si pensi alla pratica del binge watching, che consiste nel guardare in pochissimi giorni tutti gli episodi di una serie tv). La post-tv, però, non è la televisione dell’isolamento, ma quella in cui si sono affermate nuove pratiche di fruizione e di condivisione, specie attraverso i social network: gli spettatori condividono immagini, meme e clip dei loro programmi preferiti, che diventano occasioni di dialoghi virtuali sui social e determinano un nuovo e più intenso riuso di linguaggi e tormentoni televisivi.  Basti pensare al fraseggio diffuso dai nuovi factual come “Sì, chef!” o “Che voto diamo alla location?”

Si può dire, che tra i macrogeneri televisivi, quello informativo sia il più “aulico”, al di là delle differenziazioni tra i programmi. In proposito, quale conduttore sembra più emblematico, e quale trasmissione?

[Bonomi]: Non userei l’aggettivo “aulico”, inadatto anche per i programmi in cui l’italiano informativo dei giornalisti è più sorvegliato, in particolare i telegiornali, ai quali si addice la definizione di “parlato serio-semplice”, coniata alcuni decenni fa da Francesco Sabatini per l’informazione radiofonica. Questo parlato (o trasmesso) serio-semplice, aderente alla norma dell’italiano standard, che calzava a pennello per i telegiornali e per altri programmi informativi della paleotv (un po’ meno della neotv), si è progressivamente vivacizzato in una lingua più espressiva, più aperta al neostandard e alla colloquialità. Sulla media dell’italiano dell’informazione spiccano alcuni stili personali di conduttori, sia nel vasto campo del talk-show, sia nei telegiornali. L’esempio più evidente e significativo è quello di Enrico Mentana, che con il suo tg La7 ha innovato radicalmente il modello comunicativo-linguistico del telegiornale, superando la frammentazione delle notizie in un flusso coeso, in cui larga parte hanno l’interpretazione e il commento dei fatti: una conduzione interpretativa che porta a una maggiore ampiezza argomentativa e periodale e a una più evidente ricerca stilistica, in cui anche il lessico, ricco e variato, gioca una parte importante.

L’entertainment è il genere che forse ha registrato, nel tempo, più ibridazioni. Quali sono i programmi che hanno esercitato maggior influsso sugli usi linguistici del pubblico e come?

[Alfieri] Tra le quattro macroaree televisive (fiction, intrattenimento, informazione, cultura-educazione) l’intrattenimento registra una maggiore ibridazione nel percorso ideale dalla paleo- alla neo- e alla post-televisione. Già il termine varietà, che individua le prime trasmissioni d’intrattenimento (p. es. Canzonissima), rivela la contaminazione di fondo tra generi e formati: Portobello, negli anni Settanta e poi i programmi contenitore (Domenica in e Unomattina)e i reality show.  La reality television degli anni Novanta culmina nel Grande Fratello, archetipo del factual, macrogenere ibrido della postv, che mescola il registro realistico del documentario anni Ottanta e Novanta e quello sentimentale della soap opera.

Sul fronte linguistico l’intrattenimento ha avuto sin dalla paleo-tv un impatto immediato sui telespettatori, con tormentoni come il nientepopodimenoché di Mario Riva o Allegria! di Mike Bongiorno. Con la neotv, e le sue modalità di rispecchiamento e riuso, si stimola l’identificazione e quindi la fidelizzazione del pubblico, proponendo nel contempo modelli alternativi, che a loro volta generano nuovi usi. In tal senso i game show giocano un ruolo fondamentale: dalla domanda fulcro La accendiamo? in Chi vuol essere milionario?, si è passati ai “tormentoni” contemporanei, comel’incontro ravvicinato con il  parente misterioso, la fotona e il binocolone.  Questo circuito linguistico televisione-spettatore si accentua con la postv, influenzando ancor di più l’uso dei parlanti. In particolare, il factual game basa la propria riconoscibilità sulla ricorsività di moduli frasali (manca ancora il mio voto che potrebbe confermare o ribaltare il risultato). L’iterazione di formule testuali e linguistiche, così frequente nella post-tv, ripropone pertanto da un lato la ciclicità del rito della televisione, dall’altro si configura come strumento di fidelizzazione per il telespettatore e di eco pubblicitaria per il programma attraverso i social network.

La fiction si presenta come “uno specchio a due raggi”, che da un lato assorbe i modelli linguistici, dall’altro li ripropone. Il suo registro è stato definito come un parlato “oralizzato”. In che modo esso si è evoluto nel corso di questi settant’anni, e che sembianze ha assunto nella post-televisione?

[Alfieri] La dinamica comunicativa della teleletteratura, come veniva denominata nella paleotv quella che oggi chiamiamo fiction, è forse la modalità più tipica di quella che Andrea Masini ha etichettato con la metafora dello “specchio a due raggi”: mentre nei teleromanzi si trasformavano in copioni i testi letterari, rispettandone filologicamente la veste originaria, anche a costo di qualche artificiosità, nella fiction di neo- e postv, per riprodurre attendibilmente il parlato si attinge al linguaggio reale, che  a sua volta però imiterà il linguaggio delle serie più famose. Si crea così un circuito parlato-parlato reale > parlato delle sceneggiature scritto per essere recitato > parlato recitato delle fiction > parlato dei telespettatori, che rende il parlato delle fiction un parlato oralizzato.

Nel corso del tempo la lingua di quello che prima era lo sceneggiato – che metteva in scena, con un linguaggio letterario e aulicizzante, soprattutto i grandi classici della letteratura italiana ed europea – e che poi è diventata la fiction si è avvicinato all’oralità media, riproducendo ed esibendo tutti i tratti del parlato più sciolto e colloquiale. Negli anni Ottanta, con le soap operas e i telefilm, e poi a partire dagli anni Novanta, con il doppiaggio delle prime serie americane “di qualità”, come E.R. Medici in prima linea o Doctor House, l’influsso dell’angloamericano è diventato sempre più importante, contribuendo a diffondere calchi sintattici e nuovi idiomatismi, come qual è il problema; si rilassi; il mio nome è…

Negli ultimi anni le serie tv, ormai assimilabili per qualità ai prodotti cinematografici, sono andate incontro a un ulteriore cambiamento, caratterizzando l’offerta di piattaforme quali Netflix, Sky e Amazon Prime. Le serie della post-televisione, specie quelle dei canali in streaming, rappresentano la realtà in ogni suo aspetto, anche il più scabroso, e gli sceneggiatori attingono a un bacino assai ampio di varietà e stili comunicativi. Anche il dialetto e le varietà regionali molto marcate hanno fatto registrare una presenza prima impensabile, come ad esempio in serie quali Gomorra o L’amica geniale. Il linguaggio, inoltre, si è ibridato al massimo grado, entrando in contatto con stili tipici di generi paraletterari come il fantasy o il fumetto e proponendo agli spettatori modelli sempre più variegati.

MARIA GRAZIA FALÀ