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“C.e.R.T.A., la TV nella pandemia”

“C.e.R.T.A., la TV nella pandemia”

Per Carocci una ricerca sulla televisione ai tempi del Covid

Massimo Scaglioni

Un’analisi dei contenuti televisivi nel periodo pandemico, che ha studiato la produzione scripted e unscripted, individuando, per quest’annata TV, una linea di tendenza a favore dell’informazione e dei talk. Tra le reti che hanno fatto più ascolti, quelle, appunto, dove dominavano questo due generi, come Rete4 e La7, mentre Rai1 si è affermata con la fiction e Canale 5 coi reality, che hanno registrato un buon successo. Poi, Total Audience, ovvero ascolto crescente, oltre che sul televisore “canonico”, anche su altri device come smartphone, tablet, pc, ecc., che dovrebbe far riflettere gli editori per le nuove e grandi opportunità che offre. Infine, grande importanza della social TV, che rielabora i contenuti televisivi, “traghettandoli”, arricchendoli e commentandoli su social media come Facebook, Twitter, ecc., rivelandosi così un esempio di convergenza tra TV e, appunto, social media. Di questi temi si è parlato in La televisione nella pandemia. Intrattenimento, fiction, informazione e sport nell’anno del Covid-19. Annuario 2021, volume curato per Carocci editore da Massimo Scaglioni, ordinario di Storia dei media all’Università Cattolica di Milano.

La decisione di analizzare la TV italiana nel periodo pandemico (settembre 2020-maggio 2021) è frutto di uno sforzo congiunto, anche se diretto da lei. Ha intenzione di ripetere l’esperienza per l’annata televisiva che verrà, magari soffermandosi di più su un evento dirompente come la guerra in Ucraina?  

“La televisione nella pandemia”, il volume di cui stiamo parlando, rappresenta il punto d’arrivo di anni di attività di ricerca, e di costruzione di partnership, avviato dal Ce.R.T.A. il Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi della Università Cattolica di Milano. È nato come un “Annuario della televisione”, che copre l’intera “annualità” televisiva da settembre all’estate successiva, secondo il calendario della stagionalità del medium. Da questo punto di vista, già lo scorso settembre ci siamo rimessi in moto, anche coi nostri partner, per arrivare a un “Annuario 2022” che stiamo chiudendo, e che presenteremo a dicembre di quest’anno. Dunque, sì, certamente, pensiamo che l’Annuario rappresenti un importante strumento sia per chi la televisione la fa, per chi vi lavora, sia per chi la studia, e per le istituzioni interessate a monitorare i principali indicatori di questa industria.

Qual è stato il rapporto quantitativo e qualitativo tra l’unscripted, cioè la produzione non narrativa (si esclude lo sport), e lo scripted in questo periodo? Che tendenze si sono delineate nello scenario pandemico?

Domanda molto interessante, perché scripted (fiction) e unscripted (intrattenimento) costituiscono le colonne portanti dell’offerta televisiva, quelle aree su cui si concentra la produzione originale attivata dalle reti e, oggi, sempre più, anche dagli operatori delle piattaforme. Diciamo che in questi anni abbiamo visto molto dinamismo soprattutto nello scripted, nella fiction. L’investimento per questo macro-genere è molto cresciuto, possiamo parlare di quasi un raddoppio in pochi anni, poiché la fiction e la serialità, generi tipicamente a “utilità ripetuta” (cioè capaci di generare “library”), sono stati generi commissionati sempre più da player nuovi. Un tempo la fiction era prodotta solo da Rai e Mediaset. Poi è arrivata Sky. Poi sono arrivate le piattaforme. Non si tratta però solo di un cambiamento quantitativo. Con Sky, per esempio, è nata in Italia la serialità cosiddetta “high-end”, ovvero dai grandi valori produttivi e investimenti, capace di andare oltre il mercato domestico nazionale (si pensi a “Gomorra”, a “The Young Pope” e via dicendo). Anche gli operatori più tradizionali hanno seguito questa tendenza: la Rai per esempio ha prodotto, con HBO, “L’amica geniale”, che ha portato l’Italia sui palinsesti americani. Insomma, grande vitalità, potremmo dire un certo “Rinascimento” della fiction. Il settore dell’unscripted appare più stagnante, almeno all’apparenza. Sembra che le reti ripropongano sempre le stesse cose, e gli stessi format. Anche se – e nell’Annuario si vede bene – delle novità ci sono, col grande sviluppo del factual e la crescita forte del documentario. Le stesse piattaforme, che si sono mosse in primis sulla fiction (si pensi a “Suburra” di Netflix), più recentemente hanno sviluppato anche prodotti di intrattenimento e in generale generi unscripted. La Tv italiana è sempre un po’ un “gigante dormiente”, potrebbe avere grandi potenzialità ma si tende a rischiare poco, le novità vengono subito cancellate se non hanno un riscontro immediato, si lavora poco sullo sviluppo dei prodotti…

Chi, in questi due settori, ha fatto la parte del leone, in termini produttivi, e chi ha “guadagnato” di più negli ascolti tra le reti generaliste, le semigeneraliste e le tematiche?

Nel corso degli “anni pandemici” (2020, 2021) è successa una cosa molto particolare, unica nella storia della Tv, ma anche comprensibile (tutti l’abbiamo percepito): c’è stata una crescita generalizzata degli ascolti di tutte le reti. Chiusi in casa coi lockdown, impauriti per la pandemia, abbiamo consumato moltissima TV lineare, e naturalmente anche i consumi in streaming sono cresciuti. Si è trattato di un consumo un po’ “drogato”, e solo all’inizio della scorsa stagione, nell’autunno del 2021, le cose sono tornate alla normalità. Da allora la Tv lineare ha perso un po’ di ascolti, nel complesso, anche rispetto al periodo pre-pandemico. Ma questo è accaduto anche perché i consumi si sono fatti più complessi e variegati (con lo streaming), c’è stato un caldo record soprattutto dalla primavera in poi… In generale, direi che le reti che più hanno guadagnato sono quelle che sono entrate in sintonia con lo spirito del presente, perché la Tv è “qui e ora”. Penso alle reti più orientate all’informazione, come Rete4 e La7, ma penso anche a Rai1, che ha vinto con la fiction (un medical come “Doc nelle tue mani”, per esempio), o a Canale 5, coi reality che hanno tenuto bene.

Per ovvi motivi, l’informazione ha registrato un notevole successo, con risultati di gran lunga superiori al periodo pre-Covid. Quali reti ne hanno beneficiato maggiormente? Che ruolo hanno avuto i talk in quest’ambito, anche se non appartengono propriamente alla categoria delle news, ma al macrogenere dell’unscripted?

Dell’informazione in generale già si diceva, ma sono stati soprattutto i talk a crescere. Almeno in due sensi. Sono cresciuti in termini di titoli e di volti, penso per esempio al grande lavoro che ha fatto Rete4, con titoli come “Controcorrente” o “Zona Bianca”. Ma sono cresciuti tutti, o quasi tutti, in termini di ascolti. Segno della grande necessità di approfondimento che ha accompagnato un periodo così complesso, prima con la pandemia, poi con la guerra, e poi con la crisi del governo Draghi e le elezioni politiche. Il pubblico del talk è ormai ampio e articolato, certo ha anche alcune caratteristiche di fondo: è adulto, talvolta anziano, è mediamente più istruito, un po’ più maschile che femminile. Anche se ci sono programmi che modificano un po’ queste caratteristiche. Quella dei talk di approfondimento, soprattutto politici, nelle fasce pregiate, come la prima serata, è una specificità italiana, specie in queste dimensioni (numero di titoli e ascolti). Vedremo se il genere continuerà a funzionare anche in futuro, siamo pronti a monitorare l’evoluzione dei generi nei prossimi Annuari.

Perché il genere fiction/film ha avuto, sulle reti generaliste in prime time, ascolti (relativamente) modesti rispetto all’informazione, all’intrattenimento e allo sport?

In verità queste macro-etichette vanno un po’ interpretate. Nell’area dello scripted (fiction, film, serialità) c’è davvero un po’ di tutto. La fiction di produzione italiana, specie quella targata Rai, va in realtà benissimo, è uno specifico fondamentale dell’offerta TV. Il cinema è un po’ onnipresente (reti generaliste, ma anche reti tematiche), spesso è usato da tappabuchi, e tendenzialmente ha ascolti più limitati e frammentati. Ovviamente questo non vale quando si sta parlando di prime tv. Però, certo, la Tv nella pandemia è stata soprattutto una televisione fatta di informazione: campioni di ascolti sono stati i TG, gli approfondimenti, gli speciali. E come si diceva, i talk sono andati molto bene, funzionano perché fanno buoni ascolti e costano poco agli editori.

Come si profila la Total Audience, e cosa è emerso da questa nuova misurazione degli ascolti TV su device connessi in rete?

La Total Audience è la vera grande novità di questi anni. Perché la Tv si vede ancora in grande parte sul televisore tradizionale, ma ormai la Tv è ubiquitaria, si vede sul pc, sul tablet, sugli smartphone. Ed era necessaria una misurazione delle nuove abitudini degli italiani legate anche a cambiamenti strutturali dell’offerta (pensiamo per esempio che da due stagioni il calcio della Seria A passa su una piattaforma come DAZN). La cosa che più colpisce analizzando la Total Audience è il grande spazio di opportunità, solo parzialmente sfruttato, per gli editori tradizionali, ovvero le reti. La tv lineare resta centrale in Italia, anche se i consumi stanno cambiando. Ma centrali sono sempre i contenuti: gli editori avrebbero la possibilità di sfruttare molto di più le possibilità di costruire audience “convergenti”, che seguono prodotti e volti sia sulla lineare che sui diversi spazi on-line. Il punto è che ci vorrebbe uno sforzo ideativo e di investimento in più. Pensare contenuti potenzialmente “transmediali”, cercare di sfruttare appieno il fatto che consumare la tv diventa sempre più una attività contornata di altri schermi, come smartphone e tablet. Solo in pochi sfruttano appieno queste opportunità, che richiedono di ripensare il ruolo di editore televisivo.

Potrebbe fornire una definizione di social TV e parlarci del suo aumento esponenziale nell’annata televisiva considerata?

La social TV non è né più né meno che un esempio di convergenza fra TV e social media. I contenuti televisivi “esondano” sui social media, sia attraverso ulteriori contenuti creati ad hoc dagli editori sia tramite l’attività di commento, discussione, “engagement” dei pubblici. Ogni contenuto sviluppa modelli di social TV diversi. I talk, per esempio, si prestano bene a attività di commento fra le nicchie di Twitter. I programmi più popolari possono essere in grado di generare delle vere e proprie appendici attraverso le pagine social dei programmi, su Facebook o su Instagram. Oggi si sta molto attenti alla misurazione di questi fenomeni di social TV. Quali programmi generano più “engagement” (like, re-tweet, condivisioni…) sui social? Di fatto quelli che curano editorialmente meglio le proprie attività social: penso per esempio a “Che tempo che fa”, che arricchisce di contenuti i propri spazi, o “Le iene”, o i programmi realizzati dalla factory di Maria De Filippi. La social TV è importante perché dimostra una volta per tutte che il consumo di tv non è affatto passivo, ma genera attività di ogni tipo, rese visibili dai social media. Oggi è importante misurare tutto questo per avere una idea realistica di come funzionino i consumi mediali.

MARIA GRAZIA FALÀ