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“Pulp Fiction, di superficie ma non superficiale”

Pulp Fiction, di superficie ma non superficiale”

Per le Bussole di Carocci una monografia sul capolavoro di Tarantino

Leonardo Gandini

Un film, Pulp Fiction, caratterizzato dalla narrazione multipla e dalla temporalità non lineare, che si può definire postmoderno per il suo gusto per la citazione, che non è citazionismo, per il frammento, e per l’ironia, con i gangster di mezza tacca e che sono permeati dalla pop culture, per cui anche la violenza è un oggetto di consumo. Una pellicola che ha precorso i tempi, soprattutto nel sottolineare la costruzione visiva del campo sociale, che preannuncia i social media, e anche nel tratteggiare rapporti interraziali tra bianchi e neri dove il nero “predomina” per la sua arguzia, autorevolezza e senso dell’ironia. Sono questi i tratti portanti dell’analisi che Leonardo Gandini, docente di Storia del cinema all’Università di Modena e Reggio Emilia e Iconografia del cinema all’Università di Bologna, ha fatto nel suo testo Tarantino: Pulp Fiction, edito di recente per Carocci.

Quali sarebbero le parole chiave per definire Pulp Fiction? Lei ha parlato in primis di narrazione multipla e di costruzione cronologica degli eventi…

Sì, direi che sono due parole chiave abbastanza efficaci per descrivere il film. Narrazione multipla, perché ci sono un sacco di storie che vengono raccontate: da questo punto di vista direi anche che il film anticipa un po’ una tendenza della serialità contemporanea, no? a prendersi carico di un numero cospicuo di personaggi. Per quanto riguarda la costruzione cronologica degli eventi, parlerei piuttosto di decostruzione cronologica degli stessi, cioè la modalità attraverso la quale, con estrema disinvoltura, Tarantino salta avanti e indietro nel tempo dandoci dei piccoli segnali su come poi ricomporre mentalmente la storia secondo principio di conseguenzialità. Io credo che questo sia tato uno degli ingredienti del suo successo, nel senso che il pubblico si è sentito stimolato, coinvolto in una storia nella quale bisogna stare attenti…Se uno non è attento, non capisce perché dei personaggi che ha visto uccidere, ha visto morire in una sequenza, ricompaiono sette-otto sequenze dopo. Naturalmente, tutto questo va commisurato al grado di consapevolezza di uno spettatore dei primi anni ’90, oggi certe dinamiche di ricezione sono un po’ più conosciute.

Un fenomeno importante per la sua ricezione è stata la concomitante diffusione dell’home video, che negli anni ‘80 muoveva i suoi primi passi. Ce ne potrebbe parlare?

La diffusione dell’home video è importante in quanto attraverso questo la fruizione di cinema cambia in profondità, perché è possibile rivedere le scene preferite di un film e non è necessario rivederlo tutto come avveniva una volta, dove, se ti piaceva un film, tornavi al cinema e te lo rivedevi tutto. Con l’home video si possono selezionare delle scene: ciò avveniva già con le videocassette, poi col DVD la selezione delle scene diventa uno dei punti di forza nella diffusione di un film.

Tarantino costruisce un film che rispecchia questo principio perché Pulp Fiction fatto di sequenze forti che anche nel web reggeranno, ciascuna a suo modo, per motivi diversi, e che sul web sono pure fruibili in maniera a sé stante.

In che senso questa pellicola si può considerare rappresentativa del cinema postclassico e postmoderno?

Si può considerare rappresentativo della condizione postmoderna proprio a partire dall’idea di film la cui ricezione può essere frammentata e seguire principi di piacere per la singola sequenza piuttosto che per il film nel suo complesso. Ci sono molte sequenze su Pulp Fiction che possono essere fruite autonomamente anche sul web traendone godimento. Penso a tutta la sequenza, per esempio, del ristorante e poi del ballo tra Mia, la moglie di Marcellus Wallace, e Vincent Vega. Quella è una scena che uno, se la vede per intero sul web e la trova senza difficoltà, dal momento in cui lui la va a prendere al momento in cui finisce il ballo, ecco, è una sequenza godibilissima, anche senza vedere per intero il film. Dunque, la condizione postmoderna è una condizione che valorizza i frammenti in sé per sé nella sua dimensione attrazionale. Lo stesso vale per la sequenza altrettanto celeberrima in cui i due killer entrano nella casa dei ragazzi, si mangiano i loro hamburger, gli sparano e poi vanno via. Quindi, ci sono diverse di sequenze in questo film fruibili senza essere a conoscenza del contesto narrativo che le ospita.

Cosa si potrebbe definire come cinema postmoderno? La definizione per la letteratura è abbastanza semplice. Lei per Pulp Fiction ha parlato di cinema tra virgolette…

È tra virgolette nella misura in cui è un cinema dominato da alcune componenti che caratterizzano tutta la condizione postmoderna, cioè l’amore per la citazione, l’ironia, il distacco dai contenuti. Direi che questi sono i tratti caratterizzanti: l’ironia, la presa di distanza dei contenuti di cui l’ironia è un ingrediente importante, l’amore per la citazione, l’amore per la superficie. E superficie significa il modo in cui i personaggi vestono, parlano, ecc., e non superficialità.

Lei ha affermato che un approccio antropologico permea film come Quei bravi ragazzi e i primi due capitoli della saga de Il padrino. Quanto c’è di analogo e di diverso nel lavoro di Tarantino da gangster movies come questi?

Beh, direi che la diversità è abbastanza evidente. Intanto non c’è nessuna attenzione/attrazione per il tema dell’ascesa criminale, che è fondamentale, sia in Scorsese che in Coppola, cioè la criminalità viene raccontata a partire dall’importanza che i personaggi assumono nell’establishment malavitoso. Invece Tarantino ama il sottobosco della criminalità, la manovalanza da piccolo cabotaggio, per prima cosa, e poi, in lui non c’è il tentativo di trascinare il discorso sul piano shakespeariano del complotto, della lealtà, del tradimento, dove in qualche modo vanno a parare sempre i film di Scorsese e di Coppola, temi che attraversano tutti i loro film sulla malavita fino a Il lupo di Wall Street. Al contrario, Tarantino rimane a un livello fenomenologico, non ha un approccio antropologico: cioè fondamentalmente a lui quello che importa è cosa questi gangster mangiano, come vestono, ecc. Cioè, qui è tutto, ancora una volta, riportato su una dimensione superficiale: Tarantino si chiede quali sono i loro film preferiti, quali sono le loro canzoni preferite: non c’è un tentativo di andare in profondità, ma, se posso aggiungere ancora una cosa, questa scelta di non andare in profondità nel cinema postmoderno non è un limite, è paradossalmente un punto di forza.

Pulp Fiction rappresenta i suoi gangster come persone qualunque, dove la pop culture appartiene alla dimensione sociale, culturale. È così?

A questa domanda che lei mi ha appena fatto, ho praticamente già risposto, cioè i gangster vengono caratterizzati attraverso la loro adesione ai valori e alle icone della pop culture, il che li rende molto più simili ai non gangster, nel senso che sono molto più sorprendenti quando non compiono atti criminali, quando si sbizzarriscono in conversazioni banali che sono del tutto ordinarie, del tutto simili a quelle dei personaggi non criminali, del tipo come si mangia, cosa si beve, cosa si ascolta, cosa si vede, eccetera.

Nel presentare la violenza come consumo, nella costruzione visiva del campo sociale, che anticipa i social media, nel sottolineare la coolness dei neri come fatto fondante dei rapporti interrazziali all’interno del film, Tarantino, secondo lei avrebbe precorso i tempi?

Certamente, li avrebbe precorsi soprattutto sulla questione della costruzione visiva del campo sociale. In proposito cito degli studiosi, soprattutto Mitchell, che si sono soffermati su tale argomento. L’idea di questo autore, che esiste una costruzione visiva del campo sociale, cosa significa? Fondamentalmente che le persone costruiscono la propria socialità in base a quello che vedono e alle loro passioni per ciò che vedono o anche che ascoltano. Questo è un elemento che i social media hanno messo in evidenza. Se per esempio andiamo su Facebook, che fino a poco tempo fa era il social medium per eccellenza, vediamo che le persone postano una serie di cose che possono fungere da carta d’identità della loro personalità, in cerca di persone affini. Ecco, queste piccole spie di socialità, questi piccoli ami per costruire una socialità, non sono fondati su questioni ideologiche, cioè, che ne so, l’ambientalismo, l’opposizione alla guerra in Vietnam piuttosto che la simpatia per il partito democratico rispetto a quello repubblicano, ma sono fondati su pratiche culturali, quindi i cantanti che mi piacciono, le marche di abbigliamento preferite, ecc.

Pertanto, tutto ciò in Pulp Fiction è già chiaro, nel modo in cui le persone si rapportano fra di loro ed è per questo che io dico che Tarantino precorre i tempi, perché il film esce in una data fatidica, il 1994, che è esattamente la data di nascita del web.

Perché per lei la coolness dei neri è un tratto fondamentale dei rapporti interrazziali all’interno del film, e la considera come una cosa che precorre i tempi, uscendo da gangster movies incentrati su rappresentazioni interetniche (Quei bravi ragazzi, Il padrino), o ghetto-centric?

No, precorre i tempi e non solo per ciò che concerne i gangster movies, in quanto Tarantino è uno dei primissimi registi che si pone il problema di raccontare dinamiche sociali interrazziali. Prima i film dei neri erano i film dei neri, e i film dei bianchi erano film dei bianchi, e quando bianchi e neri si ritrovavano a convivere all’interno dello stesso film, questo di solito apparteneva alla categoria del film di denuncia del razzismo, basato sulla beatificazione degli afroamericani e la demonizzazione dei bianchi. E Tarantino è stato il primo negli anni ‘90 a costruire un film americano fatto da bianchi che non sia necessariamente riconducibile ad una logica di condanna del razzismo.

Quale e stata la differenza tra la produzione grassroots del web e invece quello ufficiale, in reazione all’uscita di Pulp Fiction?

La produzione grassroots del web è una produzione che si è soffermata soprattutto su alcune sequenze rielaborandole all’infinito, in chiave ora parodica, ora di semplice omaggio, ora di ricostruzione di quella situazione all’interno di un diverso panorama iconografico, ecc. Quindi è stata accentuata l’idea che il film possa essere fruito a pezzetti, con la predilezione di certi pezzetti su altri, di alcune sequenze su altre.

Lei comunque per la produzione grassroots intendeva anche una continua interazione con il testo…

Sì, ma più che di interazione, parlerei di un riutilizzo, di un riciclaggio di alcune sequenze con funzionalità diverse che possono essere l’omaggio, la parodia, la presa in giro, la stessa ironia, ma anche delle finalità molto pratiche.

Per esempio?

Per esempio, una festa di matrimonio dove la gente balla come ballano Uma Thurman e John Travolta. Si tratta di un processo, potremmo metterla così, di desemantizzazione e di ricontestualizzazione, nel senso che si prende la sequenza, la si toglie dal contesto originale e la si ricolloca in uno completamente differente.

Quanto ha influito il film di Tarantino sui prodotti come Gomorra (alludo al film e alla serie TV) o su molta serialità televisiva successiva (lei ha citato I Soprano, Dexter, Breaking Bad e Fargo, sia film che fiction)?

Per quanto riguarda Gomorra (la serie TV, non il film), c’è appunto questa idea di costruire dei personaggi di criminali pienamente dentro la società dei consumi e quindi ancorati nel modo di vestire e di parlare a questo tipo di società. Per quanto riguarda invece I Soprano, Dexter, cioè la serialità televisiva americana, direi che Tarantino ha aperto una strada insieme al suo film precedente, Le iene, sulla caratterizzazione di personaggi criminali che possono essere però, anche nelle loro estemporaneità, qualche volta fonte di umorismo.

Ritorno su Gomorra. Anche questa serie intende lavorare, insistere sulla società dei consumi (il consumo pacchiano alla famiglia Savastano, il consumo chic di Gennaro, la moglie e il figlio Pietro, sia dal punto di vista degli abiti che dell’appartamento in cui vivono)?   

Alludo a questo, ma io facevo un legame non tanto con Gomorra, che francamente mi sembra debole, ma con la serialità americana, e nella tendenza a caratterizzare i personaggi dei killer come dei personaggi che in qualche caso possono strappare dei sorrisi, non essendo dei personaggi negativi a tutto tondo.

MARIA GRAZIA FALÀ