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In margine a due fatti di cronaca. Parla Peppino Ortoleva

“I nostri media? Generici alle presidenziali francesi

I vaccini? Per tutti una mitologia difficile da sradicare”

Un coverage generico, superficiale, dettato anche dalla scarsa conoscenza della lingua, quello dei media italiani alle recenti presidenziali francesi. Una oggettiva difficoltà, da parte dei mezzi di comunicazione, di trasmettere atteggiamenti pro – vaccino in meccanismi di pensiero che assumono una specie di pensiero mitico, quasi parareligioso, difficile da sradicare. Infine, il tentativo di Report, che seguiva la strategia retorica di sentire più voci sulla questione, sostanzialmente fallito perché, dove ci sono dei miti in ballo, le cose sono molto più complicate. Queste le opinioni di Peppino Ortoleva, ordinario di Storia e teoria dei media all’università di Torino, intervistato a proposito di due eventi della cronaca recente. Si tratta dell’elezione di Macron a presidente della repubblica francese e della vaccinazione obbligatoria per tutti i bambini che vanno alle elementari, proposta recentemente dalla ministra della Salute Lorenzin al Consiglio dei Ministri.

Come hanno reagito i media italiani all’elezione di Macron a presidente della Repubblica francese?

Considerando la maratona di Mentana che è stata, come spesso succede, la cosa più mirata, la sensazione più impressionante che ho avuto è che le presidenziali francesi sono state pochissimo approfondite dal dibattito giornalistico italiano. Ci si è concentrati su quello che faceva notizia, la mancata vittoria di Marine Le Pen, poi un pochino, poiché già superata, sulla sconfitta dei partiti classici. Inoltre sugli scenari futuri relativi a Macron si sono dette cose di una genericità sconcertante, sui motivi della sconfitta di Marine Le Pen anche.

Invece il giorno dopo sulle pagine del New York Times ho visto due mappe comparate, dove emergeva che le aree in cui la crisi stava colpendo più duro tendevano a votare per la Le Pen: non c’era la contrapposizione centro – periferia, e neanche quella tra operai e borghesi, che sono stati i criteri generalmente più utilizzati per spiegare le scelte di voto, spesso con una genericità spaventosa. Ecco, di analisi come quella citata sopra, non ho trovato traccia sui giornali italiani.

A cosa è dovuta questa approssimazione?

La mia sensazione è che i nostri giornalisti conoscono poco e male il francese, come è emerso anche nei dibattiti da Mentana. In un mondo sempre più globalizzato avere degli specialisti che sanno le lingue dovrebbe essere una condizione imprescindibile, e questo vale anche per le lingue più difficili come l’arabo o come le lingue slave, parlate da paesi che confinano con noi. Invece, nei confronti delle vicende internazionali, si rileva un’attenzione troppo mediata o dai media o dalle agenzie di stampa di lingua inglese. Ovviamente ci sono delle eccezioni, come la rivista Internazionale e quotidiani come Il Manifesto, che continuano a tenere d’occhio la politica estera.

Anche la rete risente di questo?

Tenendo conto che è la persona più colta quella che va in rete, a parte il caso di Internazionale, che è anche online, anche qui si verifica lo stesso fenomeno.

Recentemente la ministra della Salute Beatrice Lorenzin ha proposto la vaccinazione obbligatoria per i bambini delle scuole elementari. Questa, mi sembra, è una reazione alla campagna anti – vaccini che ha imperversato soprattutto sulla rete. Come valuta la diffusione di fake nems come queste?

Più che di fake news parlerei di un fenomeno leggermente diverso. Bisogna distinguere tra voce, fake news, leggende urbane, miti di tipo alimentare o di tipo per esempio sanitario.

Cosa sono le fake news?

Sono notizie false spacciate per vere, e si presentano come informazioni di tipo paragiornalistico, come per esempio “Un bambino è morto di meningite perché è stato vaccinato per il morbillo”, e in proposito ci sono dei finti organi di stampa con nomi simili a quelli veri perché uno ci clicca per sbaglio e ci va a finire. Le fake news non sono una novità: c’è addirittura un pezzo di Balzac sulle notizie false nella Parigi degli anni Trenta – Quaranta dell’Ottocento.

In cosa consistono le voci?

Sono simili alle prime, ma circolano in una forma diversa, nel senso che la persona che te le racconta non pretende che tu le creda come alle fake news, ma magari vuole che tu ti diverta a sentirle.

Cosa sono le leggende urbane?

Si tratta di favole raccontate come se fossero vere, come la storia di una signora che ha infettato il partner con l’AIDS e poi è sparita lasciando scritto sullo specchio con il rossetto “Benvenuto nel mondo dell’AIDS”.

Qual è l’ultimo fenomeno, i miti?

Si tratta di racconti a cui viene attribuito un significato molto rilevante, quasi simbolico per la vita delle persone, e che molto spesso contengono elementi come l’avvelenamento, la penetrazione nel corpo di creature mostruose che portano le infezioni, ecc..

A cosa fanno fede le persone che non credono nei vaccini?

La gente che pensa che i vaccini facciano male ha un grado di fanatismo che la persona che crede a una fake news non ha. Questi miti riguardano anche l’alimentazione: per esempio, un vegano tratterà come un Satana uno che mangia una bistecca, perché in queste credenze c’è un elemento non dico parareligioso ma, appunto, mitico. Le storie contro i vaccini si sono diffuse sotto tutte le forme, per esempio attraverso le fake news: con la rete esse hanno una potenza straordinaria, perché è più facile fabbricare notizie false, più facile metterle e poi rimetterle in circolazione. Però l’antivaccinismo non è una semplice notizia falsa, è una serie di notizie false che sostengono qualcosa di più profondo, del tipo: “Per colpa dello Stato, perché esso è malvagio, il mio bambino viene penetrato da sostanze infettive e io lo devo tutelare.” Contro questa gente non si può ragionare in quanto il meccanismo mentale di questi discorsi è di tipo paranoico.

Ma in che modo i mass media hanno contribuito a creare questo meccanismo mentale, che adesso sembra molto diffuso?

Non l’hanno creato loro, il meccanismo paranoico è sempre presente in settori della società. Infatti la persona che ti dice: “Non siamo mai stati sulla Luna”, alle foto che lo dimostrano risponde che sono un fotomontaggio della CIA. Tale atteggiamento è sempre presente in alcuni elementi della società, che sono spesso frange politiche o parapolitiche.

Perché è favorito adesso?

Una delle cose che alimenta la paranoia è la crisi. In una situazione di grave crisi economica, in cui è difficilissimo capire i meccanismi che l’hanno scatenata, la ricerca del colpevole è quasi automatica, e si crede a qualsiasi cosa. In modo simile presto fede ad un’affermazione del tipo: “Mi stanno avvelenando”, che non è direttamente in relazione con la crisi, ma con un mondo minaccioso. Così, nel momento in cui penso che lo Stato è contro di me e vedo che stanno inoculando delle “cose” nei bambini, sono contro i vaccini.

Qual è il ruolo dei media per contrastare questa tendenza, e come le è sembrato il servizio sui vaccini andato in onda su Report il 17 aprile scorso?

È molto difficile. Dire “Tutti quelli che credono a questa cosa credono a delle panzane” non è la cosa migliore, perché può suscitare atteggiamenti difensivi. Non trattare la gente come cretina e scrivere lunghi articoli per spiegare serve a poco, perché moltissimi non li leggono. La strada che ha scelto Report è stata quella di presentare la questione come un argomento serio su cui sentire più voci. La cosa non ha funzionato come strategia, ma c’era una logica di tipo retorico dietro (“Forse siamo più convincenti se sentiamo tutte le campane”). Il problema è che tale strategia può andar bene per molti argomenti, ma non per questo, perché qui ci sono i miti in ballo, cioè un livello di credenza molto più forte che in altri campi e che dura per decenni.

MARIA GRAZIA FALÀ

 

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