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Massimo Scaglioni: “Aldo Grasso, appassionato dissodatore”

“Aldo Grasso, appassionato dissodatore”

A cura di Massimo Scaglioni una miscellanea per i settant’anni del Maestro

Massimo Scaglioni

Aldo Grasso come “appassionato dissodatore” di un “paesaggio selvatico e disordinato”, gli studi televisivi. Poi, analogie, oltre che differenze, tra lui e Umberto Eco, di quindici anni più anziano, con gli studi di semiotica del cinema alla Cattolica di Milano, dove si è formato Grasso, che hanno fatto, per così dire, da trait d’union. Inoltre, quello di Aldo Grasso, un approccio alla televisione che si allontana da una visione ideologizzata del mezzo, e con un interesse, invece, verso la storia culturale della TV. Infine, le due storie della TV, scritte da Franco Monteleone e da Aldo Grasso nel 1992, come precorritrici, anche se si sono dovute basare, data la mancanza di fonti primarie, gli archivi audiovisivi appunto, solo di fonti secondarie, come i paratesti.

Queste, in sintesi, le osservazioni fatte da Massimo Scaglioni, docente di Storia dei media alla Cattolica di Milano, in margine a un libro da lui curato in onore dei settant’anni di Aldo Grasso, già accademico, sempre alla Cattolica, e tuttora critico televisivo per Il Corriere della Sera. Il testo si intitola Appassionati dissodatori, ed è una miscellanea di saggi editi di recente da Vita e Pensiero.

Aldo Grasso “appassionato dissodatore” degli studi televisivi. Ci potrebbe spiegare questa metafora, coniata da Grasso stesso?

Si tratta di una metafora agraria, un’immagine utilizzata da Aldo Grasso nel volume “Storie e culture della televisione italiana” (edito, qualche anno fa, da Mondadori). Descrive chi si trovava, nel corso degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, ad affrontare la televisione come oggetto di studio, soprattutto dal punto di vista storico: di fronte a lui “un paesaggio selvatico e disordinato”, un campo di studi tutto da coltivare. Bisogna considerare che gli studi sui media, e in particolare sul cinema, erano appena entrati, molto timidamente in Università, e che la televisione non era considerata quasi per nulla un possibile oggetto di studio (ovviamente con alcune eccezioni). E occorre anche aggiungere che, allora, non esistevano gli “archivi televisivi”, ma bisognava lavorare in parte sui “paratesti” (come le pagine del Radiocorriere), in parte attraverso l’approccio di storia orale (soprattutto grazie i primi dirigenti della RAI). Insomma, davvero un terreno su cui si è esercitata l’opera di alcuni “pionieri”, fra i quali, Aldo Grasso.

Aldo Grasso è uno storico culturale della televisione, che inizia la sua attività negli anni Settanta, quando ci si trovava di fronte a un campo finora inesplorato. Ancora prima, già agli albori del mezzo, Umberto Eco iniziava la sua stesura di saggi su questo medium, saggi comparsi “in ordine sparso”, mai in forma organica. Qual è la differenza tra questi due studiosi?

Intanto Umberto Eco è nato sedici anni prima di Grasso, e si è mosso già dagli anni Cinquanta fra l’Accademia (entra in Università nel 1961) e l’attività di intellettuale che si confronta con la cultura popolare (è fra i “corsari” che entrano in RAI già nei primissimi anni di vita del mezzo). Detto questo, più che le differenze potrei menzionare i terreni in comune. Eco è uno dei padri della semiotica, che trova in Università Cattolica un terreno di sviluppo grazie a Gianfranco Bettetini, e alla semiotica degli audiovisivi e del cinema. Aldo Grasso si forma proprio in Cattolica, negli anni Settanta. Credo che, pur non apprezzando la semiotica, Grasso abbia maturato in quegli anni l’attenzione nei confronti del “testo”, ovvero dell’analisi “ravvicinata” dei programmi e dei loro meccanismi comunicativi.

La TV delle origini è stata fortemente bistrattata, soprattutto da parte degli intellettuali di sinistra, che la vedevano in maniera apocalittica. Come si pone invece Aldo Grasso, che opera con tre strumenti: i testi audiovisivi, i paratesti (v. gli articoli del Radiocorriere), i saggi degli studiosi coevi?

L’apporto più rilevante del gruppo della Cattolica cui fa parte Grasso è un approccio alla televisione che si allontana dall’ideologia. All’epoca imperava, soprattutto fra gli ambienti intellettuali, una repulsione nei confronti della televisione, a cui si preferiva il cinema. La televisione era considerata rozza e banale nel migliore dei casi, al servizio del potere nel peggiore. Ma in realtà, anche chi pretendeva di occuparsi di televisione, lo faceva in modo molto superficiale. Con Aldo Grasso e la “Scuola di Milano” nasce un interesse per la storia culturale della TV, che mette al centro i programmi più che le dinamiche di potere. Nel frattempo anche altre “Scuole” stavano nascendo, ma l’approccio storico e l’attenzione ai programmi è ciò che caratterizza l’ambiente della Cattolica di Milano.

Storia politica, culturale e storia dei media: sono questi i tre filoni di indagine finora battuti. Accanto a questi si potrebbero aggiungere una storia delle audience, una storica e produttiva, e infine una tecnologica. Ci ne potrebbe parlare?

La storia della televisione non è “unica”, poiché la televisione è un medium tanto complesso, tanto centrale nella vita della seconda metà del Novecento. Ci sono “storie” della televisione che hanno battuto soprattutto la strada politico-istituzionale. Ci sono state storie più orientate a una dimensione culturale. Ma, ancora oggi, restano un po’ in ombra altri aspetti: una storia orientata a ricostruire gli aspetti più propriamente tecnologico-produttivi (in Gran Bretagna ha fatto un gran lavoro in questo senso John Ellis), o una vera e propria “storia sociale” dei consumi. Sono terreni ancora da esplorare. Pur sapendo che poi è necessario “riannodare” i fili, per quanto possibile, perché la storia vorrebbe sempre offrirci un quadro “di sistema”, una prospettiva “olistica”, per così dire.

Lei ha definito gli archivi audiovisivi come “isole della memoria in un oceano di oblio,” accessibili allo studioso solo in modo sistematico dalla seconda metà degli anni Novanta in poi. In questo senso i libri di Franco Monteleone (Storia della radio e della televisione in Italia), del 1992, e di Aldo Grasso, che ha scritto Storia della televisione italiana nel 1992, basati su fonti secondarie, potrebbero definirsi “un primo approccio” alla storia del medium?

I due testi citati rappresentano degli sforzi straordinari, considerate tutte le difficoltà ad affrontare, in quei tempi, una storia della televisione, e di cui abbiamo parlato. Oggi, in realtà, le cose sono più facili, perché abbiamo molto materiale digitalizzato (non solo la “messa in onda”, ma anche paratesti e altri materiali). Eppure alla televisione si dedica a mio parere ancora troppo poco spazio, nell’ambito degli studi sui media.

MARIA GRAZIA FALÀ

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