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Massimo Locatelli: “Noir e thriller, gioco di ansie ed emozioni”

“Noir e thriller, gioco di ansie ed emozioni”

Per Vita e Pensiero un libro dedicato a questo genere ormai intermediale

Il noir e il thriller come gioco di ansie ed emozioni. Un genere che nasce alla fine dell’Ottocento già prima del cinema, dove si afferma nella forma canonica negli anni Quaranta. Poi, il procedural come parente prossimo, che lavora sul gioco poliziesco, sulla squadra, mentre il noir si esprime più su elementi psicologici. Il thriller come ciò che fa trattenere il fiato, come la ragazza legata ai binari del treno mentre il villain sta a guardare, ma senza l’approfondimento psicologico o la dimensione passionale che si identifica con il noir. Inoltre, una quality television che permette allo spettatore una migliore definizione dei colori e quindi l’uso del low – key lighting, l’intenso chiaroscuro, applicato anche al colore, come nel caso di True Detective. Infine, una intermedialità, con il noir e il thriller che passano anche al di fuori della fiction da cinema e televisione, come le docufiction, i generi realistici, e altri media come i fumetti e i videogiochi.

Sono queste le parole con cui Massimo Locatelli, docente di Cinema, fotografia, televisione alla Cattolica di Milano, presenta il suo recente Psicologia di un’emozione. Thriller e noir nell’età dell’ansia, uscito per Vita e Pensiero.

Se dovesse dire, in sintesi, l’assunto del suo libro, con quali parole si esprimerebbe?

Nei media contemporanei abbiamo nuove forme culturali che si appoggiano ai generi classici, ma che lavorano con molta più forza sull’intensità dell’emozione. Può essere il cute, il carino, o l’autenticità del reality intesi come sensazioni fortemente emotive. Il noir e il thriller oggi sono quella grande forma culturale che ci permette di giocare con ansie ed emozioni, anche molto intensamente.

Il noir nasce già con i film muti. Qual è la sua affermazione nel cinema?

Il noir è precedente al cinema: alla fine dell’Ottocento c’è una elaborazione di uno stile visivo nella fotografia che è appunto il chiaroscuro e quello già porta con sé l’idea della sua dimensione psicologica. Quando nasce il cinema, in particolare con il muto che ha bisogno di forte espressività, il chiaroscuro diventa un forte riferimento da un punto di vista fotografico e viene integrato nelle grandi narrazioni thrilling, criminali, che iniziano ad attirare il pubblico soprattutto negli anni Dieci. La seconda tappa sono gli anni Venti, quando vengono definiti tecnologicamente i mezzi tecnici, cioè la fotografia canonica del noir. Si pensi, ad esempio, ad alcuni film di Rodolfo Valentino, che diventa la maschera dell’uomo misterioso, del tough guy, dell’esotico, della passione. Si arriva così agli anni Quaranta quando si ha l’epoca del noir vero e proprio, con i classici come Humphrey Bogart (vedi il suo Il mistero del falco), che canonizzano questa forma visiva che diventerà riconoscibile per sempre.

In cosa si discosta il noir dal procedural?

Dopo gli anni ’40 vi è una serie di rilanci: nascono altri percorsi e sottogeneri. Il procedural è proprio un modo che hanno gli anni Cinquanta per rinnovare il canone noir e thriller. Esso è quel luogo in cui, invece che l’eroicità, pure tenebrosa del tough guy, cioè dell’eroe noir, si inizia a essere interessati ai meccanismi di conoscenza anche delle procedure poliziesche e alla squadra, al team, al distretto di polizia, cioè a una sorta di piccola comunità che lavora a stretto contatto con il crimine. Da allora noir e procedural vanno a braccetto, rimangono cugini, che continuano a scambiarsi idee e forme, ma che non sono sempre la stessa cosa.

Thriller e noir sono due fenomeni diversi?

Il noir è un’elaborazione all’interno dell’universo del thriller, che nasce prima. Esso si sviluppa già nel teatro leggero degli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, e indica quella cosa che fa tenere il fiato, come la scena classicissima della ragazza o del protagonista legati sui binari mentre arriva il treno e il cattivo è lì che guarda insieme a noi spettatori. Quando nel corso del Novecento il cinema avrà anche uno stile visivo cupo, appunto nero, con la ricerca di narrazioni psicologicamente dense, si ha il psychological thriller.

Quindi, ecco personaggi frantumati nella loro interiorità, come Humphrey Bogart che è il detective che non sta né col bene né col male, e proprio in quel momento nasce anche il noir all’interno della cornice thriller. Naturalmente esisterà sempre un thriller pulito, non noir, magari con immagini chiare, con un eroe, un detective o poliziotto, che semplicemente risolve casi di forte tensione senza l’approfondimento psicologico oppure la dimensione passionale che si identifica con il noir.

Quale differenza c’è tra quality television e televisione precedente?

La TV ha un ruolo importante nell’evoluzione dei generi thrilling e in quelli con lo stile visivo e narrativo nero. Naturalmente ogni percorso, televisione, cinema, radiofonia, anche fumetti e videogiochi, ha delle necessità tecnologiche di produzione. Agli esordi la TV americana aveva una definizione molto bassa, anche inferiore a quella europea. È però vero che è passata prima al colore ma questo ha fatto fare un passo indietro in termini di definizione: l’immagine a colori infatti fino agli anni Ottanta o fine Settanta in TV è piuttosto debole. Noi in Europa alziamo poi il livello qualitativo almeno dagli anni Sessanta – Settanta, ma rimaniamo però al bianco e nero che, da un altro punto di vista, è un limite.

Fino alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta tutti questi paletti spingono la televisione a rimanere, per i generi indicati, a mantenersi soprattutto entro il procedural. Questo vale in particolare per la TV americana, ma in parte anche per quella italiana e tedesca che, sin dalla fine degli anni Settanta, inizia a vendere i suoi investigatori, come fa tuttora. Il procedural, infatti, permette di realizzare storie complesse ma con un’intensità visiva molto meno forte, non competitiva con il cinema. Con gli anni Ottanta le cose cambieranno: infatti da questo periodo, a partire dagli USA e poi nel nostro paese, si diffondono televisori con una definizione dell’immagine più alta. Nasce quindi la quality television, un prodotto visivamente migliore, definito, con una maggiore gamma di contrasti, di cromatismi, e a quel punto ci sono anche un’ampia possibilità e volontà di lavorare sulla scrittura.

Il mid – key linghting, ovvero toni di luminosità più sfumati, era il cromatismo tipico dei telefilm tedeschi…

Questo era il cromatismo tipico dei vari commissari Koester, Derrick, ecc.. Il mid – key lighting era una via di mezzo, la TV non fa neanche tanto high – key lighting, cioè un’illuminazione diretta che sottolinea più o meno frontalmente visi e corpi degli attori, la utilizza per i grandi spettacoli, per Canzonissima, diciamo. Usa invece molto un’illuminazione standardizzata, classica, con pochi toni, proprio perché ha poca possibilità di rielaborare i suoi contrasti. Come già detto, agli esordi la qualità dell’immagine televisiva a colori è molto povera. Se pensiamo alla serie Starsky & Hutch, degli anni Settanta, che è abbastanza innovativa e che arriva a fare da ponte, essa ha comunque una qualità visiva molto più bassa di quello a cui saremo abituati dopo. I tedeschi usano già il colore negli anni Settanta, perché vi arrivano almeno una decina d’anni prima di noi, però la loro immagine la pensiamo quasi grigia lo stesso, proprio perché scelgono il mid – key lighting, girato nelle città tedesche, con cieli grigi già naturalmente.

Cosa avviene con Twin Peaks e con X – Files?

Twin Peaks insieme a X – Files segna il passaggio alla quality television. Siamo ormai negli anni Novanta e c’è una nuova generazione di spettatori che si aspetta dalla TV una qualità della visione molto più alta. Non per niente si inizia a parlare di home cinema anche nel marketing.

Già con Rodolfo Valentino il low – key lighting, cioè il forte chiaroscuro, si afferma, più nei manifesti dell’attore che nei suoi film, ancora a bassa definizione. Come definirebbe questa modalità di illuminazione del set in periodi successivi ma, soprattutto, nella serie cult americana True Detective?

Il low – key lighting è proprio quella marca caratteristica del visual design nero, noir, che viene codificata nell’epoca classica, come detto prima. È di difficile utilizzo per la TV molto a lungo: per esempio Hitchcock nella sua serie Alfred Hitchcock presenta poteva utilizzare solo in pochi momenti il low – key lighting cinematografico. Quando, prima al cinema negli anni Settanta con la New Hollywood, e dopo con la televisione di qualità degli anni Novanta è possibile ricreare questi grandi effetti low – key, subito i grandi autori prima e le grandi produzioni poi se ne approfittano. Per la TV, non tanto da Twin Peaks, ma soprattutto da X – Files, le prime grandi serie a cavallo del Duemila, si torna a usare con forza anche effetti low – key, quindi con grandi contrasti, con sfumature di grigio, con volti di cui riconosciamo la tensione e le paure proprio dalle ombreggiature.

E questo nonostante il colore…

Con la New Hollywood degli anni Settanta, quindi con i film di Coppola (come Apocalypse Now), di Scorsese, ecc., finalmente c’è la possibilità di fare cinema a colori, ma con tutta la cupezza di quello classico in bianco e nero.

In TV, a partire dal Duemila, tutte le serie, quelle fatte con un po’ di soldi, possono iniziare a osare veramente la ricchezza dei contrasti low – key. Mi riferisco ai Soprano, una delle grandi serie di qualità HBO.

Addirittura, nelle serie contemporanee questa noirizzazione diffusa anche oltre alla scena clou, viene usata pure in ambiti completamente diversi, come in ER, serie della fine degli anni Novanta, dove George Clooney usa il low – key lighting per rendere più tensivo e più appassionato il genere ospedaliero.

Anche True Detective fa dei giochi stilistici significativi. Negli ultimi dieci anni si è aggiunta infatti una nota ulteriore, a cui ormai nessuno rinuncia, cioè la colour correction, avvenuta con la trasformazione di tutta la produzione in digitale verificatasi grosso modo una quindicina di anni fa. Da questo momento si ha la possibilità di operare appunto in colour correction in postproduzione, creando un lavoro sulla gamma dei cromatismi e sulle ombre. In questo senso True Detective è un bellissimo caso di studio. Esso gioca sia con i momenti più cupi, low – key lighting classici, sia con momenti allucinati, di forte sovraesposizione, negli esterni, con un campionario delle possibilità espressive della fotografia contemporanea.

Va infine tenuta presente l’intermedialità del noir attuale…

Per quanto riguarda appunto la cosiddetta intermedialità dei generi contemporanei, il noir e i thriller passano non solo nel cinema classico o nella TV, ma sono usati anche negli altri generi. Penso alla docufiction, ai generi realistici, ecc.. Poi il noir passa pure attraverso altri media, come i fumetti e i videogiochi, oggi tutte forme di consumo molto importanti soprattutto per le giovani generazioni che magari si formano lì il loro immaginario thriller e noir.

MARIA GRAZIA FALÀ

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