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L’innovazione democratica secondo Michele Sorice

 

L’innovazione democratica secondo Michele Sorice

In un libro lo studioso spiega questo concetto

ancora poco noto in Italia

 

Un tentativo di spiegare cosa si intende per innovazione democratica, concetto poco conosciuto finora in Italia. E poi, fresco di stampa, un contributo a più mani, con un taglio più accademico, che tenta di coniugare metodi di ricerca finora considerati antitetici da applicarsi a più discipline, come la scienza politica e le comunicazioni di massa. Sono questi i due ultimi libri, complementari, pubblicati da Michele Sorice, ordinario di Innovazione Democratica alla LUISS di Roma.

Nel 2016 lei ha scritto con Emiliana De Blasio Innovazione democratica. Un’introduzione, edito dalla LUISS University Press. Cosa s’intende per innovazione democratica?

Innovazione democratica è un concetto che, prima di essere accademico, ha notevole rilevanza politica: nonostante ciò, esso in Italia non sembra ancora avere un chiaro statuto scientifico. Esiste invece una tradizione di lingua inglese e nord europea, ormai viva da qualche anno, che considera l’area delle cosiddette Democratic Innovations, e cioè di quelle forme organizzative che ri-progettano le istituzioni in funzione di una partecipazione piena e consapevole dei cittadini alla cosa pubblica. Si tenta cioè di analizzare come è possibile incrementare la partecipazione sociale e politica dei cittadini migliorando la qualità della democrazia, aumentando non solo la logica partecipativa, ma anche il potere decisionale dei cittadini stessi.media_poklitica

Esistono esempi di innovazione democratica in altre nazioni?

I primi esperimenti consolidati sono già degli anni Ottanta, dalle “giurie dei cittadini” (citizen’s juries) agli esperimenti di bilancio partecipativo di Porto Alegre, in Brasile, che ha rappresentato – anche simbolicamente – una sorta di punto di partenza delle pratiche partecipative. L’esperienza di Porto Alegre inizia già nel 1989, anche se ha poi avuto una grande risonanza internazionale fra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila. In Francia, poi, esiste la tradizione del cosiddetto Débat public, anch’esso un tentativo istituzionalizzato di aprire a una maggiore partecipazione dei cittadini. In Italia siamo un po’ indietro, sia per quanto riguarda le pratiche di partecipazione (che però stanno aumentando), sia per quanto riguarda gli studi sul tema.

Quest’anno lei ha scritto un altro testo, sempre a più mani, (E. De Blasio, M. Quaranta, M. Santaniello, M. Sorice), dal titolo Media, politica e società: le tecniche di ricerca (editore, Carocci). Si tratta del suo secondo amore, le tecniche di ricerca sociale nella comunicazione tout court?

Rispetto all’altro il libro quest’ultimo è forse più accademico, e parla di tecniche di ricerca sociale qualitative, quantitative e di quelli che vengono definiti “mixed methods”. Le prime sono quelle che adottano strumenti non necessariamente numerici o statistici (ma che hanno comunque standard definiti e non sono affatto impressionistiche); le seconde hanno il loro punto di forza nell’adozione di strumenti statistici o di analisi matematica; i mixed methods, infine, sono quelli che combinano approcci diversi allo scopo di studiare la realtà in maniera più profonda. Lo sforzo che abbiamo fatto è stato quello di superare la netta cesura che esisteva in passato tra i diversi approcci ma anche fra metodi di ricerca radicati tradizionalmente in alcune discipline. Abbiamo cercato, cioè, di metterle insieme e di considerarle con un’ottica più moderna. Volevamo fornire a studenti, ricercatori e professionisti delle indicazioni su come si possano usare insieme approcci differenti dentro precisi protocolli scientifici. Il secondo elemento di rottura concettuale, se possiamo dire così, è rappresentato dall’abbattimento delle barriere fra le varie discipline delle scienze sociali: dalla sociologia alla scienza politica fino ai media studies. Abbiamo infatti cercato di invitare all’uso congiunto dei diversi metodi di ricerca evitando compartimenti stagni. L’idea è stata quella di dialogare, tant’è vero che gli autori del libro sono persone che si occupano di cose vicine ma diverse tra loro.

Cosa ne pensa della politica sul web? Può essere considerata un argomento di studio?

La comunicazione politica sul web è un tema importantissimo ma è necessario non cadere nel banale. Penso ad esempio ad alcuni studi sulla rilevanza di Twitter misurata sulla base dei numeri di retweet: talvolta la ricerca si è concentrata in modo semplicistico su questi aspetti. Più importante, invece, studiare come la sfera digitale diventa uno degli spazi pubblici interconnessi in cui si definiscono forme di consenso e di legittimazione politica.

 

MARIA GRAZIA FALÀ

 

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