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L’India, le sue donne e il cinema. Parla la regista Aparna Sen

 

Da Reset Doc

Un’attenzione sempre costante verso il mondo femminile, verso situazioni sociali e politiche indiane che solo oggi stanno lentamente cambiando. La violenza, lo stupro, o le minacce contro le donne ancora presenti, solo che oggi – qualche volta – si ha il coraggio di denunciare, anche se con tutti i rischi e pericoli che questo comporta. Sono queste le parole con cui si esprime Aparna Sen, regista bengalese, classe 1945, che ha sempre avuto un occhio privilegiato verso il sociale e soprattutto verso il mondo femminile.

 

Com’è cambiata la figura della donna nella sua produzione cinematografica? C’è una differenza tra le sue prime opere e la situazione attuale, dove le donne sembrano avere acquisito una maggiore autonomia?

Nel mio primo film, 36 Chowringhee Lane, che fu girato nel 1981, la protagonista Miss Violet Stoneham avrebbe potuto benissimo essere Mr. Stoneham, un anziano signore anglo–indiano, invece che un’anziana zitella. Ho scelto di rappresentare un’insegnante avanti con l’età solo perché personalmente avevo studiato in una scuola femminile e sapevo come funzionavano scuole come queste. Questo film tratta più di solitudine che di questioni di genere. La solitudine di Miss Stoneham è aggravata perché la signora appartiene ad una minoranza. Tuttavia, detto questo, devo anche aggiungere che lo stoicismo con cui Miss Stoneham accetta la sua sorte alla fine del film è, per me, una forza veramente femminile. Penso che un anziano in una situazione simile sarebbe crollato invece che trovare conforto in Shakespeare come ha fatto Miss Stoneham.

Il mio secondo film, Paroma, trattava molto più questioni di genere, ed era una descrizione di come una donna scopre la sua identità. Dal periodo in cui ho fatto “Yugant” (What the Sea Said, 1995), sono andata avanti, rendendo la donna meno una vittima che deve lottare per i suoi diritti e più una donna di mondo che lentamente veniva corrotta dal successo. In un film successivo, 15 Park Avenue, Anu – la sorellastra molto più anziana della psicotica Meethi – è un professore che è anche la persona che più si prende cura di sua sorella schizofrenica. Anu è la tipica donna indiana moderna che vive in città e che è oberata sia dal lavoro che dalle responsabilità familiari. Di conseguenza è stressata, piena di ansia e di sensi di colpa, pronta a perdere le staffe, ed è sia aggressiva che gentile a seconda dei momenti.

“36, Chowringhee Lane” parla di un’anziana signora anglo-indiana la cui vita vuota all’improvviso è messa in subbuglio da una giovane coppia indiana. I ragazzi si approfittano di lei usando la sua casa come luogo di incontri e, una volta sposati, l’abbandonano alla sua precedente, monotona vita. Qual è l’immagine che lei tratteggia della middle class anglo-indiana che, dopo che la nazione ha raggiuto la sua indipendenza, ha perso la maggior parte dei suoi privilegi?

Una delle domande che mi sono posta facendo questo film è: “qual è la reale tragedia degli anglo-indiani nell’India dopo l’indipendenza?” La risposta che mi si è presentata spontaneamente è: “la partenza dei britannici”. Per questa ragione ho introdotto una scena tra Violet Stoneham e suo fratello Eddie al ricovero per anziani dove risiede Eddie. L’uomo soffre di demenza e crede che Re George sia ancora il re della dominazione Britannica dell’India colonizzata. Sua sorella gentilmente gli spiega la reale situazione dicendo: “Non c’è più nessun Re George, Eddie caro. La dominazione britannica non esiste più. L’India è indipendente da oltre trent’anni.” Questo film è stato, naturalmente, girato oltre trent’anni fa! Al momento della sua realizzazione gli anglo-indiani erano disprezzati dalla popolazione locale. L’ironia è che i britannici li trattavano come cittadini di seconda classe perché non avevano puro sangue inglese, mentre gli indiani li guardavano male per il fatto che erano servili verso gli inglesi e per il fatto che sentivano l’Inghilterra come la loro “casa”. La middle class bengalese non aveva nulla in contrario al fatto che i propri figli si sposassero con dei britannici, ma reputavano assolutamente disgustosa l’idea di un matrimonio con degli anglo-indiani. In 36 Chowringhee Lane la nipote di Miss Stoneham, Rosemary, ha un boyfriend bengalese “acculturato” che la lascia perché lei è anglo-indiana.

In qualche modo la situazione ora è cambiata. La maggior parte della nuova generazione di anglo-indiani è emigrata o in Australia, o in Canada o in Nuova Zelanda, proprio come ha fatto Rosemary nel film. Quelli che non sono andati via sono stati gradualmente “assorbiti” entro la mainstream e non sono più emarginati. Essere discendenti da anglo-indiani non è più un problema nell’India di oggi.

In “Paroma” (1985) una donna indiana della middle class, ormai non più giovanissima, ha una relazione con un fotografo. Dopo che il marito scopre la tresca la donna tenta il suicidio, poi però acquisisce una nuova consapevolezza di sé. Ci può parlare di questo? Com’era la donna che lei ha descritto negli anni Ottanta?

C’erano molti tipi diversi di donne che coesistevano negli anni Ottanta. C’erano persone come Paroma, finanziariamente dipendenti dal marito e le cui vite erano definite dai loro ruoli familiari di madre, moglie, nuora, cognata. Se succedeva qualcosa a minacciare la loro relazione primaria con il marito, tutte le altre erano messe in pericolo a sua volta. Tuttavia c’erano altre persone, come l’amica di Paroma, Sheila, certamente di gran lunga meno numerose, che vivevano la loro vita autonomamente e come volevano.

Il personaggio di Paroma è ispirato a una persona reale, una ragazza che è stata mia compagna di scuola. Era un’eccellente studentessa, accademicamente brillante, un’appassionata di sport, una brava attrice che prendeva sempre parte alle recite della scuola e che era per così dire una persona a tutto tondo. Andava molto bene al college ed era prima all’università, dove ha completato un master in storia. Poi fu “data in matrimonio” com’era in uso nella tradizionalista famiglia bengalese da cui proveniva. Ebbe una vita matrimoniale ragionevolmente felice e diventò madre di due deliziosi bambini. L’ho incontrata di nuovo in occasione della prima festa di compleanno del suo figlio più grande, cosa che fu un grande evento. Lei aveva invitato tutti i suoi compagni di scuola e del college. Ci ha salutato con grande affetto e siamo scoppiati a ridere parlando degli scherzi durante le lezioni a scuola. Poi arrivò una parente anziana della famiglia di suo marito con la nuora al seguito. La nostra amica salutò l’anziana signora rispettosamente, toccandole i piedi in un saluto tradizionale. Poi fu presentata alla cognata che, a sua volta, le toccò i piedi. La nostra amica toccò il mento della ragazza in un gesto di saluto e affetto. Quando se ne andarono, ritornò da noi e diventò di nuovo la nostra compagna di classe, che rideva e scherzava con noi. Questo fatto mi ha lasciato perplessa su chi lei fosse realmente tra i vari ruoli sociali e familiari che costantemente assumeva. Tuttavia alcuni dei suoi amici, io fra questi, erano finanziariamente indipendenti e portavano avanti delle carriere scelte proprio da loro. Penso che lei ed io fossimo le basi dei personaggi di Paroma e di Sheila nel film.

“Paromitar ek din” (House of Memories, 2000) delinea un rapporto speciale tra una suocera e la ex nuora, che è la moglie divorziata del figlio. L’amicizia che lega le due donne è più importante del legame familiare? Come può questo fattore essere considerato una novità nella scena culturale indiana?

Non la chiamerei una novità, ma comunque non si tratta neppure di un fenomeno molto comune. Almeno, non lo era nel 2000 quando fu girato il film. Ci si aspettava dalla famiglia che una madre rimanesse leale verso suo figlio e perciò mettersi contro la nuora divorziata, particolarmente se si era risposata. Ma ho notato che spesso nasce una specie di fratellanza tra donne a stretto contatto nonostante differenze di età, fratellanza che dura nonostante i cambiamenti che avvengono nella vita. Conosco molti esempi in cui suocera e nuora hanno stabilito dei forti legami e hanno continuato a rimanere in contatto anche dopo che la nuora ha divorziato dal figlio. Tuttavia questo è raro in situazioni nelle quali la nuora si risposa, perché spesso è difficile per una suocera accettare il nuovo marito che ha preso il posto del figlio. In casi come questi la giovane donna probabilmente avrà un nuovo insieme di legami acquisiti, o anche nuovi figli, e sarebbe difficile per una ex suocera proveniente da una famiglia convenzionale interagire con quelli. Una simile fratellanza andrebbe anche contro l’opinione tradizionale per cui una donna può sposarsi solo una volta nella vita.

In “Mr. and Mrs. Iyer” (2002) una giovane donna hindu che viaggia con un bambino a bordo di un autobus finge di essere la moglie di un fotografo musulmano e così facendo gli salva la vita quando un gruppo di fanatici hindu assalta il mezzo e fa giustizia dei musulmani che vi sono a bordo. Di nuovo, alla fine della storia tutto torna alla normalità, in quanto la donna non trova il coraggio di iniziare una relazione con il suo compagno di viaggio e torna dal marito. Da questo punto di vista, qual è il ruolo della donna in relazione agli scontri intercomunali?

Non posso dire che c’è un ruolo specifico. Una donna proveniente da una famiglia hindu ortodossa come quella di Meenakshi forse starebbe lontana dal giovane musulmano e si concentrerebbe solo sulla sua salvezza e di quella di suo figlio. Ma nella nostra storia emerge l’umanità di Meenakshi. Non può stare seduta silenziosa accanto al compagno di viaggio musulmano e vedere quello, che era stato così servizievole con lei durante il viaggio, massacrato dagli estremisti hindu. La sua forza di carattere è ciò che la rende degna di essere la protagonista di un film. Non va dimenticato che è ancora molto giovane e molto inesperta – ha solo ventidue anni – e probabilmente non ha visto nessuna violenza prima di questa. Tutti i suoi condizionamenti dall’infanzia relativi alle caste e alla collettività la spingono a insultare l’uomo che ha appena scoperto essere un musulmano. Ma la sua innata bontà come essere umano vince su questo condizionamento e fa in modo che lo salvi. Ritengo che è molto difficile dire quale dovrebbe o non dovrebbe essere il ruolo di una donna in una situazione simile. Dovrebbe dipendere totalmente da lei e da cosa sente che siano le sue priorità. Non c’è regola così categorica come questa.

Ci potrebbe dire qualcosa a proposito del suo film più recente, “Goynar Baksho” (the Jewellery Box, 2013), in cui tre generazioni di donne sono collegate da un cofanetto di gioielli?

Goynar Baksho è una storia raccontata come una commedia in modo spensierato; ma, al di sotto della spensieratezza, è effettivamente la storia della discriminazione di una donna in una società dominata dagli uomini. E’ anche la storia del cambiamento dello status sociale delle donne, che è visto davanti al loro cambiamento di atteggiamento verso un cofanetto di gioielli che è passato da una generazione a quella successiva.

In Goynar Baksho la donna della prima generazione è Rasmoni, una vedova bambina privata di tutto nella vita. Da quando divenne vedova a dodici anni, non le fu permesso di mangiare carne o pesce; le fu vietato di vestire qualunque indumento tranne quello tradizionalmente destinato alle vedove, un sari bianco senza bordo; non le fu permesso il sesso o la compagnia di ogni altro uomo al di fuori del padre e dei fratelli. Tutto ciò che aveva era il cofanetto di gioielli che aveva ricevuto come dote, gioielli che non poteva indossare, e lei custodiva questo cofanetto a prezzo della vita. Era la sua unica ricchezza e la sua unica forza. Era abbastanza intelligente da rendersi conto che senza di questo era finanziariamente senza aiuto e poteva essere buttata fuori dalla casa dei fratelli a loro piacimento. Ma niente aveva successo nel vincere la forza d’animo di Rasmoni e la sua voglia di vivere, e lei regnava incontrastata nella famiglia dei suoi fratelli.

La seconda generazione è rappresentata da Somlata, la moglie giovane, nervosa e balbuziente proveniente da una famiglia povera che è stata data in sposa al nipote di Rasmoni. Ma, sotto la sua apparente fragilità, Somlata ha un cuore d’acciaio. Rasmoni ovviamente riconosce questo perché, anche se tiranneggia la giovane sposa senza pietà, è a lei che l’anima di Rasmoni affida il prezioso cofanetto dopo la morte. Lei minaccia la ragazza di tremende ritorsioni se riguardo a ciò dirà una parola ai suoi parenti che aspettano di mettere le mani sul cofanetto. Somlata lo nasconde, ma vi attinge per dare in pegno alcuni gioielli per procurarsi del denaro al fine di aprire un negozio di sari e salvare così la famiglia del marito dalla rovina finanziaria. Ha anche il buon senso di chiamarlo con il nome di Rasmoni, placando la rabbia iniziale della vecchia donna per aver impegnato i suoi preziosi gioielli. L’anima di Rasmoni comincia a vivere in maniera vicaria attraverso Somlata e prova l’esperienza di essere una entepreneur. Somlata, da parte sua, funziona molto bene entro la famiglia patriarcale, ma negozia lo stesso uno spazio per se stessa essendo gentile e discreta piuttosto che aggressiva.

La terza generazione è costituita da Chaitali, la figlia di Somlata, che è la cocca della famiglia. E’ moderna, istruita e ostinata, e si gode la libertà che sua prozia Rasmoni non ha mai avuto. Non è interessata ai gioielli e restituisce il cofanetto alla madre che glielo aveva dato in occasione del suo diciottesimo compleanno. Infine Chaitali dà via i gioielli per una causa – aiutare i combattenti per la libertà impoveritisi durante la guerra di liberazione del Bangladesh.

Così è attraverso i mutamenti di atteggiamento della donna verso i gioielli e la ricchezza che Goynar Baksho esamina la sua evoluzione sociale e ne celebra lo spirito indomabile.

Attualmente in India si registra un numero crescente di episodi di violenza: quanto affermato è vero oppure è dovuto al fatto che oggi le donne sono più inclini a sporgere denuncia?

La violenza carnale c’è sempre stata: violenza verso le donne povere soggette ai ricchi proprietari terrieri; violenza verso le donne di casta bassa da parte di uomini di casta superiore; violenza verso le native da parte dei colonizzatori britannici; violenza entro la famiglia dove gli zii violentavano le nipoti e i suoceri le nuore; violenza da parte dei mariti. Tutto ciò dilagava. Era sempre la donna debole stuprata dal forte, l’indifesa violentata dal potente; ed era sempre la vittima ad essere biasimata e bandita dalla società. La violenza carnale entro la famiglia era sempre tenuta nascosta. Qualche volta, se una donna rimaneva incinta per uno stupro, veniva forzata ad andare da una mammana per abortire, e spesso moriva. Altre volte, se la gravidanza era in stato avanzato, veniva persino avvelenata per coprire lo scandalo. La donne non si facevano mai avanti per denunciare i loro violentatori perché sapevano che sarebbe stato inutile e sarebbe stato in ogni caso come se loro fossero le responsabili. Spesso non parlavano per paura di sfasciare la famiglia. Oggi la situazione è cambiata radicalmente. Ci sono delle leggi severe sui luoghi di lavoro dove l’abuso sessuale è preso molto sul serio e si prendono misure molto dure contro chi lo commette.

Attualmente le donne sono molto più pronte a venire allo scoperto e a denunciare i loro assalitori; in rari casi una donna può perfino approfittarsi delle leggi che sono dalla sua parte e denunciare un uomo ingiustamente.

Una delle ragioni per cui lo stupro continua nonostante leggi severe contro questo reato è perché la giustizia non è sicura e rapida. Gli uomini ricchi riuscivano a sfuggire in virtù delle loro connessioni politiche, ma dal caso di stupro di “Nirbhaya” avvenuto a Dehli il dicembre scorso, tutto questo è cambiato. Sono stati istituiti dei rapidi iter giudiziari per assicurare una giustizia veloce e sicura. Proprio alcune settimane fa il direttore di un giornale, un uomo potente e con forti agganci è stato accusato di abuso sessuale e arrestato. Nonostante tutte queste misure la violenza sessuale si registra in qualche luogo in India ogni singolo giorno! La polizia spesso non accetta il cosiddetto FIR-s (first instance reporting), l’atteggiamento e la mentalità che tiene concordano molto con i vecchi valori patriarcali dove una donna è considerata un bene di proprietà. La tendenza a biasimare la vittima è ancora presente in qualche misura, ma c’è un processo di cambiamento sotterraneo.

Cosa ne pensa della ragazza recentemente violentata e poi bruciata viva perché aveva osato denunciare i suoi assalitori?

Questa sorta di cose è fatta da delinquenti che hanno appoggi politici e che pensano che possono farla franca facendo ciò che vogliono. E’ lo stesso atteggiamento dei ricchi proprietari terrieri che ritenevano di poter avere qualunque donna che desideravano, tranne per il fatto che ora può farlo il politico potente anziché il proprietario terriero. C’è una tendenza a minacciare la vittima e la sua famiglia per non fargli denunciare il violentatore. Se questa non dà ascolto, sono prese misure più forti come uccidere o bruciare viva lei o i membri della sua famiglia. Uomini come questi non possono venire a patti con l’emergere di una donna nuova, finanziariamente indipendente e vogliono punirla o umiliarla. Sentono di avere il diritto di possedere qualunque donna vogliono; e se la donna fa obiezione o reagisce, deve essere punita. Questa sorta di fenomeno raramente viene messo in atto da un unico stupratore; di solito è perpetrato da una gang che si sente sicura a causa del numero e delle sue aderenze politiche.