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Donatella Della Ratta: “Illuminare (tanwir) le masse, presunzione delle élite siriane”

“Illuminare (tanwir) le masse, presunzione delle élite siriane”

Uno state of the art della fiction siriana prima e dopo la guerra civile

Una fiction, quella siriana, che ha visto negli anni Novanta i suoi anni d’oro. Un’illusione e una presunzione, quella delle élite politiche e culturali siriane, di “illuminare” le masse prima di dare loro la libertà politica. Una produzione di musalsalat (letteralmente, soap operas), con intenti pedagogici per far superare alla società la sua arretratezza. Infine, una doppia velocità dopo La Primavera Siriana del 2011. Da un lato, ancora le musalsalat tradizionali girate da persone rimaste per lo più nel paese e comunque vicine al regime, dall’altro, un contenuto generato dal basso di web series, con registi giovani, che parlano di quotidianità ai tempi della guerra civile, ma anche di amore e di politica. Sono questi gli argomenti trattati da Donatella Della Ratta, esperta di fiction siriana, nonché docente di Media Studies all’Università Americana di Roma.

Qual era il panorama della fiction araba prima delle sue Primavere?

La fiction araba, in arabo musalsalat, è molto legata al mese di Ramadan, in quanto viene trasmessa quasi solo in quel periodo, o comunque prodotta ad hoc per questo (c’è quasi sempre una puntata per ogni giorno di Ramadan). Storicamente il maggior produttore di questa fiction è stato l’Egitto, un paese che già negli anni Sessanta produceva tantissime musalsalat e che faceva tesoro di un’industria culturale molto pregiata in tutta la regione araba, per cui gli egiziani sono stati i primi a fare il successo di tale genere nei palinsesti arabi. Subito dopo è venuta la Siria, che ha puntato soprattutto sulla qualità, in quanto paese più piccolo dell’Egitto e con una produzione industriale di cinema quantitativamente non paragonabile. I siriani, soprattutto dagli anni Novanta, si sono focalizzati su un genere diciamo neorealista, per cui trattavano soprattutto problemi legati alla realtà, come questioni di genere, abusi di potere, corruzione.

Anche se la fiction siriana ha cominciato a fare i suoi primi passi subito dopo quella egiziana, i suoi anni d’oro cominciano successivamente. Dagli anni Novanta fino al Duemila c’è un boom anche perché si registra un boom delle TV satellitari, con l’apertura di molti canali, quasi tutti spesati dal Golfo, perciò con abbastanza soldi per poter commissionare e comprare fiction. La produzione siriana viene fatta anche con il Golfo come acquirente, e dura fino ad oggi, nonostante i problemi di sicurezza che ci sono in Siria attualmente.

Nel suo saggio del 2013 La fiction siriana. Mercato e politica nell’era degli Asad, lei sosteneva che fino al 2011, epoca in cui comincia l’intifada, Bashar al – Asad, insieme all’élite di produttori, registi e attori di musalsalat, si presentava alle masse come l’unica guida che le poteva “illuminare” (tanwir) dall’arretratezza. Potrebbe spiegare questa sua affermazione?

Esiste un’affinità elettiva tra gli operatori dell’industria culturale siriana, specialmente di musalsalat, e la politica superficialmente o apparentemente riformista della casa di Asad, soprattutto da quando Bashar al – Asad è salito al potere nel 2000 succedendo al padre. È venuto al potere con una serie di istanze riformiste a livello economico e anche politico. Questa classe di produttori di cultura gli ha creduto, tant’è vero che nel 2001 si è verificata la cosiddetta Primavera di Damasco, e cioè una serie di istanze riformiste fatte avanti dalla società civile ma soprattutto da questa classe di intellettuali che chiedevano al presidente di riformare il paese. Tale movimento guidato dalle élite è andato male, però la promessa di riforme si è spostata dal settore politico ai media. C’è stata l’idea che la società siriana non era ancora pronta per essere riformata politicamente perché arretrata socialmente, con problemi come l’estremismo religioso, il trattamento della donna, ecc.. I siriani andavano pertanto educati in tal senso, anche attraverso le musalsalat, prima di passare a dare aperture politiche. Questa era la credenza largamente diffusa tra le élite siriane e anche fra il circolo politico di Bashar al – Asad, tant’è vero che, quando nel 2011 è cominciata la primavera siriana, nessuno ha capito e tutti hanno detto: “La società non è pronta, non è possibile che questa sia un’istanza naturale della società siriana, sarà sicuramente un complotto straniero”. Quest’ideologia tanwir (in arabo, “illuminare”) è una credenza profondamente elitista, cioè affida a queste élite politiche e culturali la capacità di guidare la massa verso le riforme senza guardare cosa veramente c’è nella società.

Tutto questo si sposa con il fatto che la casata di Asad sia una minoranza, una élite che funge da guida?

Certamente sì. Essa appartiene a una minoranza religiosa, quella alawita, sciita, che da sempre nella sua retorica di governo ha usato il tema delle minoranze come ricatto dicendo “Se rimuovete la casata Asad anche le altre minoranze, come i cristiani, i drusi, ecc., saranno cancellate in un paese che è fondamentalmente a maggioranza sunnita”. Questo è uno degli aspetti che per alcuni studiosi è l’eccezione siriana: una minoranza esigua come quella degli alawiti e della casata di Asad governa. Analogamente per la produzione culturale, delle minoranze illuminate devono decidere per la maggioranza, e ciò è una cosa molto antidemocratica in quanto la democrazia è la volontà della maggioranza.

Com’è rapidamente degenerata la crisi dopo il 2011, soprattutto nella produzione delle musalsalat?

Esisteva una istanza genuina dentro la società civile che è stata brutalmente repressa dal regime e che ha anche avuto interventi di potenze straniere dall’una e dall’altra parte. Quello che ho visto nel 2011 sono stati dei moti di piazza di persone molto giovani, con le mani alzate, i fiori in mano, le bottiglie d’acqua, insomma un movimento pacifista anche un po’ ingenuo, nel senso che non sapeva bene che avrebbe dovuto confrontarsi con un potere così assoluto e repressivo.

Per quanto riguarda i media, la produzione di musalsalat è sopravvissuta, si è spostata un po’ in paesi limitrofi come il Libano, ancora però fatta da siriani, ma anche dentro la Siria ci sono tuttora operatori che producono fiction. Naturalmente quelli rimasti sono i più vicini al regime, quindi fanno musalsalat neorealiste, perché le fiction siriane sono sempre state molto legate all’attualità, però riportando il punto di vista governativo sugli avvenimenti.

Com’è invece la produzione indipendente su internet?

Qui si è sviluppata una produzione più user generated, dal basso: si tratta di web series, sketch, forme creative e linguaggi nuovi che sono emersi sul web dopo il 2011 e soprattutto portati avanti dall’opposizione, ma non politica, bensì creativa. Dopo il 2011 è emersa un’élite di persone per lo più giovani che hanno trovato in internet la loro forma espressiva di riferimento.

Qual è la differenza tra questo contenuto generato dagli utenti (alludo soprattutto alle web series) e alle musalsalat tradizionali post – 2011?

C’è una differenza abissale, prima di tutto dal punto di vista finanziario. Le musalsalat propriamente dette hanno bisogno di un finanziatore, e non a caso esse sono prodotte dai capitali del Golfo perché, essendo serie che vanno avanti per almeno 30 episodi, sono produzioni industriali che necessitano di un modello di business. Invece le forme sul web sono quasi sempre forme dal basso, autofinanziate, e a bassissimo budget. Dal punto di vista dei contenuti, le musalsalat sono quelle che perpetrano ancora un po’ questa visione elitistica della società, mentre quelle dal basso sono molto più aperte, sono fatte dalla società civile stessa. Molti sono contenuti generati dagli utenti, provengono dai media center che sono nelle varie città, come Aleppo, quindi sono più di opposizione al regime.

Tutto da un punto di vista sociale più che politico…

No, il contenuto politico c’è, essendo tutte cose nate dopo il 2011, cioè a fronte di una rivoluzione politica.

Di cosa parlano queste web series? Narrano, per esempio, storie d’amore, oppure cambiano i contenuti?

I contenuti non cambiano, le storie d’amore ci sono sempre, sono di appeal universale, e poi molte si concentrano su come si vive la vita quotidiana in tempo di guerra, per esempio in territori occupati che soffrono di mancanza di luce, di acqua, ecc..

MARIA GRAZIA FALÀ

 

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