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“Destinazione India”, e Bollywood sbarca in Trentino

 

Da Reset Doc


È l’India la protagonista del 63° Trento Film Festival, (dal 30 aprile al 10 maggio) dedicato alla montagna fin dalla sua nascita, ma aperto ora anche a temi legati ad essa, quali l’ambiente e i popoli che con la montagna convivono. Con la sezione “Destinazione India”, è in corso (dal 2 maggio al 9) una rassegna su questo paese con mostre fotografiche, dibattiti e appuntamenti letterari. Sarà poi proiettato un film cult, che con la montagna ha un legame particolare in quanto girato in Kashmir e che ha vinto il premio del pubblico al nono Festival di Roma. Si tratta di Haider, libero riadattamento bollywoodiano dell’Amleto di Shakespeare ad opera del regista Vishal Bhardvaj, che ha visto la vicenda sulla chiave degli scontri indipendentisti del Kashmir del 1995 e dei conflitti indo – pakistani relativi a quella regione.

Tra i punti di eccellenza del festival, anche i documentari di impegno sociale. Tra gli ospiti la regista e giornalista indiana Kavita Bahl che presenterà al pubblico italiano due documentari dedicati ai problemi causati da un’agricoltura non più compatibile con i ritmi del piccolo contadino. Le due opere, Candles in the Wind (“Candele nel vento”) e Damned, girate con il marito Nandan Saxena, anche lui filmamker e giornalista, saranno presentate al festival nella sezione documentari insieme ad altri lavori di impegno sociale. Vi saranno infatti anche lungometraggi come quello di Nishtha Jain dal titolo Gulabi Gang, del 2012, e dedicato ad un movimento di donne, la Gulabi Gang appunto, fondato nel 2006 dall’attivista sociale Sampat Pal e volto a combattere gli abusi sulle donne, la corruzione e l’ingiustizia sociale.

In particolare, Candles in The Wind parla della piaga degli agricoltori suicidi nel Punjab, che negli anni Sessanta è stato testimone della cosiddetta Green Revolution. Il documentario nasce nel 2014 dopo Cotton for my Shroud (“Cotone per il mio lenzuolo funebre”), sul genocidio dei contadini di cotone del Vidarbha, regione orientale dello stato indiano del Maharashtra, ed è dedicato alle vedove e ai figli dei contadini suicidi del Punjab, il bacino agroalimentare dell’India. Dopo un anno e mezzo di riprese e sei mesi di montaggio, racconta dei danni che la “Rivoluzione Verde” ha provocato nelle vite degli agricoltori della zona in termini di malattie, di cancri, di debiti non pagati e di conseguenti suicidi. La Green Revolution è iniziata negli anni Sessanta ed è anche oggi fortemente condizionata dalle multinazionali a causa dell’uso di pesticidi, di fertilizzanti chimici e piante transgeniche.

Un documentario girato in chiave minimalista, Candles in the Wind, che lascia spazio in modo semplice alle voci delle vedove e dei loro figli, attraverso una serie incrociata di interviste. “La macchina da presa, dice il regista Nandan Saxena a ResetDoc, è un’estensione della visione del regista. Un film può essere una semplice esposizione, oppure una narrazione stratificata che conduce all’interpretazione: la macchina da presa può essere o un dispositivo ottico – meccanico che “congela” i personaggi oppure essere come il pennello di un pittore, che nasconde più di quanto rivela.”

“Scegliendo lo stile di ripresa di Candles in the Wind, prosegue Saxena, si è deciso di rispettare il dolore delle vedove e dei genitori degli agricoltori suicidi, usando videocamere piccole, per non forzare troppo la sofferenza di quelle persone. Abbiamo mantenuto le nostre inquadrature semplici, e permesso al dramma di svolgersi, facendo sì che questo stile minimalista si adattasse a queste storie struggenti. Qualcosa di più avrebbe diluito il pathos.”

Nel documentario vi sono però anche “buoni samaritani”, come l’attivista sociale Inderjit Singh, detto “Jaijee”, e alcuni sindacati di sinistra. Jajiee è uno di questi filantropi, la cui organizzazione, la Baba Nanak Educational Society, è andata documentando i suicidi agrari in Punjab e offrendo aiuto a molte famiglie attraverso l’istruzione dei loro bambini. Per quanto riguarda i sindacati di sinistra, spiega Kavita Bahl, “questi hanno condotto indagini relative a vari villaggi per mettere a confronto i dati sui suicidi e hanno mosso accuse ai due partiti apparentati al governo, il BJP e l’Akali Dal (il più importante partito politico Sikh a livello mondiale) e, prima, al sistema politico del Congresso, a proposito del genocidio orchestrato dallo Stato.”

“I compagni hanno guadagnato credibilità, conclude Kavita Bahl, laddove altri partiti hanno tradito per sposare la causa delle multinazionali e dei ricchi contadini. Purtroppo, il Gurudwara (la rete filantropica Sikh) si fa sentire per il suo silenzio. La rete dei Gurudwara (“La porta del Guru”) potrebbe offrire rifugio, galvanizzare i contadini e costringere il governo ad annullare le sue politiche contrarie agli agricoltori, ma l’Akali Dal al governo controlla il Gurudwara.”

Un documentario sociale, quindi, che spicca per il suo interesse verso il mondo rurale e che fa il paio con Damned, sempre come detto girato dai due registi e che tratta dei trasferimenti forzati di persone dovuti agli allagamenti in seguito alla costruzione di dighe per sostenere lo sviluppo economico dell’India.

Ancora, interesse verso il sociale ma con in più un occhio alle donne per Gulabi Gang, il lungometraggio dedicato a Sampat Pal e alle sue lotte contro femminicidi, corruzione, ingiustizie. È Sampat Pal a denunciare alla polizia casi di finti suicidi di donne ad opera dei mariti avvenuti in alcuni villaggi rurali, mentre tutto il paese tace e magari anche alcuni genitori non parlano. È poi un’esponente della Gulabi Gang (si noti bene, tutte le attiviste per distinguersi vestono un sari rosa) a presentarsi come candidata e a vincere alle elezioni per il consiglio di villaggio di Brahmori (del distretto di Banta, in Uttar Pradesh) contro un capo villaggio, Rameshwar Thakur, che è un criminale e che terrorizza tutti gli abitanti della zona. Ma non tutto va bene: la sorella di un membro della Gulabi Gang viene uccisa dal fratello e lei, nonostante appartenga a questa organizzazione progressista, cerca di coprirlo con la sua influenza dimostrando una mentalità arcaica, ancora legata ai vecchi codici di comportamento.

Oltre a quelli citati, non mancheranno infine al festival altri lungometraggi dedicati alle donne e al sociale, ma ci saranno anche due anteprime italiane nella prima e ultima giornata di programmazione: si tratta di Monsoon, del regista canadese Sturla Gunnarsson, sul ruolo dei monsoni nei ritmi naturali di chi vive in India, e Fascinating India 3D del filmmaker tedesco Simon Bush, viaggio in tre dimensioni tra gli aspetti architettonici e paesaggistici più belli dell’India.

Tranne questi due casi, nella sezione dedicata all’India non si avranno inediti. “Il Festival ha diverse sezioni, programmate secondo diversi principi, afferma Sergio Fant, selezionatore dei documentari del festival. In quella dedicata all’India ci interessa non tanto la novità del prodotto da presentare, quanto che la programmazione sia completa. La panoramica sull’India guarda indietro fino a tre-quattro anni fa – perché il principio non è quello di offrire delle anteprime ma di far sì che questi film raccontino il paese con la varietà che ci interessa. ”Infatti, conclude Fant, dopo aver dedicato le nostre sezioni al mondo occidentale (i paesi precedentemente protagonisti sono stati, uno per ogni anno, Finlandia, Turchia, Messico, Russia), quest’anno per la prima volta ci siamo rivolti ad una zona altra, l’Asia appunto e l’India in particolare, in quanto la produzione cinematografica recente ci aiutava a sostenere un progetto di questo tipo. Per esempio, India: Matri Bhumi di Roberto Rossellini, del 1958 e restaurato nel 2011 dalla Cineteca di Bologna, sarà presentato simbolicamente come l’idea di un viaggio dall’Italia verso questo grande paese.”

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