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“Cinema Made in Italy, tra mainstream e Festival”

“Cinema Made in Italy, tra mainstream e Festival”

Uscita per Carocci una miscellanea sul destino dei film italiani all’estero

Massimo Scaglioni

Una ricerca, quella sulla diffusione dei film italiani all’estero, che ha riguardato Francia, Svizzera, Regno Unito, USA, anche se non sono mancate incursioni nei paesi “latini” come Spagna, Grecia e Portogallo. Mancanza di un certo appeal dei film nostrani che si sono appiattiti, a livello mainstream, su progetti low budget, oppure sulle commedie (v. Tolo tolo di Checco Zalone), mentre il cinema d’autore circola soprattutto grazie ai Festival (caso più eclatante, Paolo Sorrentino, con il suo Oscar per La grande bellezza). Rimedio a questo empasse: le co-produzioni, rivelatesi produttive soprattutto a livello di serialità televisiva (The Young Pope, The New Pope, sempre di Sorrentino). Infine, televisione come grande produttrice di film, sia nei soggetti istituzionali (Medusa, Rai Cinema, Vision), sia in quelli Ott come Netflix.

Queste, in sintesi, le parole di Massimo Scaglioni, docente di Storia ed economia dei media alla Cattolica di Milano, nel commentare Cinema made in Italy, da lui curato, ed edito per Carocci nel 2020.

 Il vostro progetto di ricerca, CInCIt (Circolazione internazionale del cinema italiano), che prende in analisi il decennio 2007-2016, ha scelto quattro paesi su cui focalizzare lo studio (Francia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti). Perché non ha preso in esame anche gli altri big five europei, e cioè Spagna e Germania?

Il progetto di ricerca, che ha visto un finanziamento dal MIUR nell’ambito dei progetti PRIN, coinvolgendo cinque università, è partito da una serie di ipotesi che fossero esplorabili anche sulla base delle risorse che avevamo a disposizioni. Una prima analisi generale dei dati di circolazione e successo dei film italiani all’estero ha fatto emergere la rilevanza dei quattro paesi citati, ognuno per ragioni diverse. La Francia, per esempio, ha una lunga tradizione tanto di co-produzioni con l’Italia, tanto di forte circolazione di film italiani attraverso un radicato circuito di sale attente al cinema d’autore. La Svizzera, da parte sua, ha una regione linguistica italofona e tradizionalmente anche una presenza di italiani anche nelle regioni della “Svizzera interna”. Regno Unito e Stati Uniti invece sono mercati molto più difficili per i film italiani, a parte ovviamente nelle grandi città come Londra, New York o Los Angeles, per esempio. Si tratta, insomma, di percorsi di circolazione molto differenti, e interessanti proprio per questa ragione. Ciò però non ci ha impedito di studiare, almeno in chiave di distribuzione e successo dei film italiani, anche gli altri contesti europei. Fra questi, quelli più interessanti sono forse i paesi mediterranei, che presentano culture vicine a quella italiana: in Spagna, in Portogallo, in Grecia, per esempio, c’è più facilità che una commedia (per es. quelle interpretate da Checco Zalone) possa circolare e avere anche un discreto successo…

In un saggio contenuto nel libro, Marco Cucco scrive: “se la circolazione del cinema italiano continua a essere poco significativa non è per la mancanza di validi strumenti a sostegno dell’export, ma forse per un limite della produzione stessa che, per ragioni diverse, poco si presta a essere esportata e a intercettare un pubblico straniero.” Come commenterebbe queste parole?

Nel corso degli ultimi anni anche il Legislatore si è reso conto che la circolazione internazionale del cinema è un tema importante. Non tanto (o soltanto) in chiave economica, ma anche e soprattutto culturale. Il cinema è da sempre veicolo di soft power, può creare un indotto positivo (si pensi solamente all’immagine dell’Italia veicolata dai film, che talvolta è in grado di generare fenomeni di cine-turismo, o oggi, pensando alle serie, di cine-tele-turismo). Gli strumenti di sostegno e promozione del cinema italiano ci sono – anche se forse andrebbero meglio coordinati – ma talvolta i nostri film si assestano su una medietà low budget che finisce per non essere appealing fuori dai confini nazionali. Ma le ricette sono già sotto i nostri occhi. Le co-produzioni (e possiamo qui includere anche quelle seriali) hanno per definizione più capacità non solo di circolare all’estero, ma anche di registrare un discreto o buon successo. Da questo punto di vista oggi in termini produttivi è più trainante la Tv e la serialità. Si pensi a casi di eccellenza, come “L’Amica geniale”, come “The Young/The New Pope”, e altri ancora.

Perché in Italia “tirano” molto le commedie mentre, fatte le debite eccezioni, all’estero si vendono molto i film d’autore di registi come Garrone, Sorrentino, Guadagnino, Moretti, ecc.?

Le commedie sono state, fino alla chiusura dei cinema per causa della pandemia, la forza trainante del cinema in sala, almeno in termini commerciali. L’anno 2020 si è aperto con l’ottimo successo di “Tolo Tolo”, prima che il Covid si abbattesse come una calamità soprattutto sull’esercizio, sulle sale. Le commedie hanno intrinsecamente un gusto molto nazionale, perché è più difficile – anche se non impossibile – esplorare la comicità. Anche in questo caso però non sono utili le generalizzazioni. Un’attività mirata e articolata di sostegno alla circolazione del cinema italiano all’estero, che tenga conto anche delle specifità dei Paesi e delle culture, potrebbe rivelare delle sorprese. In generale però il cinema italiano si identifica all’estero per il grande cinema d’autore. Quest’ultimo ha dei suoi propri meccanismi di valorizzazione che passano attraverso Festival e premi, e consente ad autori come Paolo Sorrentino, Gianfranco Rosi, Luca Guadagnino, Nanni Moretti, Matteo Garrone e qualcun’altro ancora di avere un buon mercato fra gli spettatori che più apprezzano il cinema cosiddetto “arthouse”. Ma non dobbiamo anche dimenticare che tutto sta rapidamente cambiando. Dopo la pandemia, il ruolo della piattaforme di streaming sarà sempre più rilevante, anche se la sala tornerà a giocare il suo ruolo. Rispetto allo specifico problema della circolazione del cinema italiano all’estero, bisognerebbe essere creativi e sistematici nel immaginare che nuovo spazio il nostro cinema può guadagnarsi nel nuovo ecosistema distributivo globale. E’ un compito non semplice, ma per fortuna abbiamo dalla nostra due vantaggi che spesso ci riconoscono all’estero: una grande tradizione cinematografica (cosa che talvolta diventa però anche un limite, poiché si tende a ricondurre il nostro cinema agli stilemi del Neorealismo) e una ricchezza territoriale e paesaggistica da sfruttare ancora meglio, nel solco dell’importante lavoro svolto da molte Film Commission regionali.

Qual è il ruolo dei festival per la distribuzione all’estero di film italiani arthouse?

Come dicevo prima, il ruolo dei Festival e dei premi è molto rilevante per la circolazione dei film che siamo abituati a chiamare “d’autore”: i grandi Festival (Cannes, Venezia, Berlino, Toronto etc.) e ovviamente i premi (in primis quelli attribuiti dalla Academy Awards) contribuiscono all’affermazione dei nomi del nostro cinema cui si attribuisce un importante credito. Si pensi all’ottima circolazione che ha avuto un piccolo film “difficile” come “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, che è poi un documentario e non un film di finzione. Puntare ai grandi Festival è finora una delle strategie vincenti per il cinema d’autore.

Perché, sempre nel decennio considerato, negli USA praticamente solo tre film italiani, Io sono l’amore (Guadagnino, 2009), La grande bellezza (Sorrentino, 2013), e Youth (Sorrentino, 2015), hanno avuto una certa diffusione?

Il mercato americano è molto difficile per il cinema italiano. E d’altra parte, come mostriamo in una delle infografiche del libro, il cinema europeo ha un discreto successo negli Usa, ma di questo successo l’Italia rappresenta solo una piccola parte, appunto rappresenta dai pochi film che ha citato. I casi di Sorrentino e Guadagnino sono diversi e andrebbero studiati. Quello di Sorrentino è più classico: la vittoria dell’Oscar come miglior film internazionale lo ha consacrato come un autore noto anche agli americani. Grazie alla sua presenza e al suo nome, uniti al nome delle principali star, è stato possibile per la casa di produzione portare a bordo del progetto “The Young Pope” l’americana HBO. Il caso di Guadagnino è un po’ diverso. “Io sono l’amore” è un case study davvero interessante, perché fu un vero e proprio insuccesso in Italia, mentre è stata una rivelazione nella sua uscita americana. Guadagnino è un autore attentissimo a provare a cogliere i lati d’interesse per l’Italia all’estero, e specialmente negli Usa. Ha avuto l’intelligenza di guardare con ambizione fuori dai confini italiani, con film più riusciti (sicuramente il più riuscito, “Chiamami col tuo nome”) e altri meno (il remake di “Suspiria”). Anche lui, poi, è finito a realizzare una serie coprodotta da Sky Italia e HBO, un teen drama d’autore che forse non ha avuto la visibilità che meritava.

Quanto può contribuire la TV, lineare e no, alla circolazione dei film italiani all’estero?

La televisione è il principale produttore di film, quindi sì. Sarebbe sempre più necessario che i grandi produttori (come Rai Cinema, Medusa e Vision) siano in grado di costruire linee editoriali differenziate, senza disperdere troppo le risorse in mille progetti (è un problema che riguarda in particolare Rai Cinema), ma comprendendo quali progetti possono mostrare – fin dalle prime fasi della scrittura del soggetto e della sceneggiatura – l’ambizione di viaggiare anche oltre i confini. E naturalmente, questo accadrà sempre anche grazie alle produzioni “locali” dei servizi Ott, come Netflix. Non tutto il nostro cinema può avere la forza di varcare i confini, ma su alcuni progetti, e alcuni nomi, si può puntare, con ambizione. Ne va, anche, della nostra capacità di raccontarci a un mondo che resta sempre molto interessato (e appassionato) all’Italia.

MARIA GRAZIA FALÀ