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Massimo Scaglioni: “Occorre un appeal internazionale per la fiction italiana”

 

“Occorre un appeal internazionale per la fiction italiana”

“Gomorra? Il miglior caso di prodotto scripted degli ultimi anni. Netflix? Attore ancora troppo globale e poco italiano.”

 

Esigenza di un appeal internazionale per le produzioni italiane di fiction, non solo SKY, come valore economico e culturale. Necessità di uscire da prodotti “nazionali”, o meglio, “strapaesani”, che caratterizzano le serie TV delle reti generaliste e che abbassano il livello generale del mezzo. Una futura missione del servizio pubblico ancora tutta da scrivere, che va ridisegnata al di là del settore della fiction. Infine, Netflix come attore globale che mira a produrre una parte dei suoi contenuti nei territori in cui è presente, ma che non è ancora determinante, come Rai, Mediaset e, per ultima, SKY, nella produzione di fiction nostrana. Last, but not least, serie TV come In treatment dove alla qualità del girato si aggiunge anche l’attualità del tema trattato.

Sono queste, in sintesi, le tesi sostenute da Massimo Scaglioni, docente di Storia dei media alla Cattolica di Milano, in uno state of the art delle produzioni italiane di serie TV.

SKY ha riscosso molti successi internazionali producendo Gomorra, 1992, The Young Pope (regista, il Premio Oscar Paolo Sorrentino). Come valuta tutto questo?

Si tratta di un buon segnale per l’Italia. Nell’ambito dell’intrattenimento importiamo moltissimi format. In quello della fiction, fino a poco tempo fa, pensavamo esclusivamente alla produzione “domestica”, destinata al mercato interno. Ma la fiction può rappresentare un valore – economico e insieme culturale – per l’Italia. E’ un bene il fatto che si pensino progetti più ampi, anche attraverso delle co – produzioni (come molte di quelle che cita, l’ultima, The Young Pope, con Canal+ e HBO). In realtà si tratta anche di un “cambio di modello”: la fiction prodotta per la pay TV deve avere un appeal più internazionale, per necessità. Noto che, per influenza della produzione pay, anche le reti generaliste si sono mosse. Il caso de I Medici è un altro buon esempio, e qui il progetto è sviluppato dalla RAI.

Come mai le reti generaliste Rai e Mediaset, tranne rare eccezioni come Montalbano, non riescono a raggiungere un pubblico internazionale?

Perché fino ad ora non hanno avuto alcun interesse a farlo. Il mercato delle reti generaliste è quello nazionale. Il problema è che, limitandosi a prodotti nazionali – o meglio, talvolta, “locali” o “strapaesani” – si abbassa il livello generale del mezzo. Mentre se si inizia a guardare agli standard internazionali si migliora senza dubbio. Una serie come Gomorra – che è strutturata su standard internazionali – e infatti ha avuto una buona distribuzione all’estero – costituisce forse il miglior caso di prodotto scripted degli ultimi anni. Anche il servizio pubblico potrebbe iniziare a ragionare di più su progetti di co – produzione, magari guardando a altri public service broadcasters come partner.

Come lei sosteneva in un libro del 2016 (Il servizio pubblico televisivo. Morte o rinascita della RAI?), la RAI vedrebbe messo in discussione il suo ruolo di TV pubblica. Questo può contribuire alla crisi della sua produzione di fiction?

Direi che la crisi del servizio pubblico va al di là della semplice produzione di un genere come la fiction. E’ una crisi di identità e di missione. La missione del servizio pubblico per il prossimo futuro è tutta da scrivere. Ho provato, in quel libro che cita, a buttare giù qualche abbozzo di idea per il servizio pubblico di domani.

Perché Michele Placido, presentando Suburra alla stampa, ha magnificato la libertà creativa concessagli da Netflix, produttrice, insieme a Rai Cinema, della serie?

Perché le novità sono sempre molto attrattive. Il fatto che ci siano nuovi soggetti che commissionano produzioni originali, come ha fatto Netflix per Suburra, è un dato positivo. Ma non bisogna esagerare. Netflix non ha una sua sede in Italia, ha finora prodotto una sola serie nel Paese, mentre broadcaster come Rai, in primis, Mediaset e da ultimo Sky realizzano decine di ore di scripted made in Italy. Insomma, evviva Netflix, ma cerchiamo di conservare lucidità sulle differenze e i pesi. Netflix è un attore globale che mira a produrre una parte dei suoi contenuti nei territori in cui è presente. Ma per ora il catalogo di Netflix è fatto molto da prodotti internazionali. Speriamo in un futuro maggiore coinvolgimento in Italia, magari con una crescita delle sottoscrizioni, che per ora sono ancora poche qui da noi.

La terza e ultima serie di In treatment, ultima nata in casa SKY, è anche oggetto di conferenze accademiche. Il 20 marzo scorso infatti, presso la facoltà di Psicologia della Sapienza di Roma, Sergio Castellitto, protagonista e psicoterapeuta nella serie, ha incontrato gli studenti: tra gli ospiti, anche Luca Mazzucchelli, vicepresidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, che ha discusso sul ruolo della divulgazione verso il grande pubblico del lavoro dello psicoterapeuta. Realtà e finzione si incontrano?

In treatment è un prodotto molto bello, ed è giusto che sia oggetto di discussione. E’ molto bello il format su cui la serie si basa, che è nato in Israele e ha avuto diversi adattamenti nazionali (dagli USA all’Italia). In generale, in televisione oggi non mancano certo prodotti estremamente complessi e intelligenti. La TV non è più “deficiente”, come diceva Franca Ciampi. La TV sa essere più ricca e interessante di altri media: il segreto è saper cercare e selezionare.

MARIA GRAZIA FALÀ

Link correlato > http://docenti.unicatt.it/ita/massimo_scaglioni/

 

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