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Angela Maiello: “Premediazione, prefigurazione di scenari possibili”

“Premediazione, prefigurazione di scenari possibili”

Uscita per la Pellegrini Editore un’antologia di Richard Grusin curata e tradotta da Angela Maiello

I media contemporanei hanno la funzione di mantenere basso il livello di ansia e di paura nella società contemporanea, rendendo meno traumatici shock come quello dell’11 settembre. È questo il significato di quella che Richard Grusin definisce premediazione, ovvero la prefigurazione di scenari possibili, in modo da “preparare” l’utente al reale. Di questo ed altro si è occupato nei suoi studi Grusin, uno dei più influenti teorici americani dei nuovi media nonché docente presso la University of Wisconsin Milwaukee, che torna al pubblico italiano con un nuovo testo. Si tratta dell’antologia Radical Mediation. Cinema, estetica e tecnologie digitali (Pellegrini Editore, 2017), curata e tradotta da Angela Maiello, Junior Research Fellow presso la Scuola Superiore di Studi Avanzati della Sapienza di Roma. Nella silloge vengono raccolti i più importanti saggi che Grusin ha scritto negli ultimi vent’anni.

Come mai ha deciso, dopo la sua monografia su Gomorra del 2016 (Gomorra – La serie. La famiglia, il potere, lo sguardo del male, per Edizioni Estemporanee), di passare alla traduzione e alla curatela di saggi di uno studioso dei media come Richard Grusin?

In realtà non si tratta di un cambio di rotta. Il libro su Gomorra – La serie nasce dallo stesso interesse di ricerca che ormai coltivo dal dottorato, ovvero lo studio di quelle prassi, abilitate dalle tecnologie digitali e dai social media, che hanno un notevole impatto sulla configurazione della nostra sensibilità, sulla nostra aisthesis, come singoli e come collettività. Con Gomorra prendevo in esame la viralità della rete, esemplificata dal caso dei video dei The Jackal, che parodiavano la storia sui social network, e proponevo un’analisi della serie a partire da questa prospettiva estetica e mediologica. In questo senso Grusin risulta per me un autore di grandissima importanza, perché è una delle voci più originali e autorevoli nell’ambito della teoria dei media, intesa innanzitutto come un ambito interdisciplinare dove cinema, tecnologie digitali, estetica, e quindi filosofia, si possono incontrare in modo virtuoso.

Qual è, in sintesi, il percorso intellettuale di Grusin?

Grusin è ben noto, anche ai lettori italiani, per essere l’autore, insieme a J.D. Bolter, di uno dei testi fondamentali della teoria dei media, Remediation. In quel libro viene proposto il concetto di rimediazione, per comprendere l’allora nascente cultura digitale (il libro viene pubblicato negli Stati Uniti nel 1999). Il merito di quel volume è di aver individuato una logica mediale – la “doppia logica della rimediazione”, caratterizzata dalla complementarità tra immediatezza e ipermediazione – capace di spiegare il funzionamento dei media contemporanei e il loro rapporto con i media che li hanno preceduti (in senso ampio, dalla televisione alla pittura). Nel corso dei quasi vent’anni trascorsi dalla pubblicazione di Remediation, Grusin si è concentrato sempre più su quello che lui definisce il carattere immediato della mediazione. I media contemporanei funzionano innanzitutto a livello affettivo, ovvero determinano l’intonazione emotiva, l’affettività della collettività, sempre più connessa attraverso la rete. Nella fattispecie i media operano per mantenere basso ma costante un certo livello di ansia e paura, preconfigurando scenari ed eventi futuri. È questa la premediazione (a cui Grusin ha dedicato un libro, che non è stato tradotto in italiano – Premediation: Affect and Mediality After 9/11, Palgrave 2010 – ma che nel libro è rappresentato dal saggio intitolato, appunto, Premediation). La premediazione è l’esito più visibile dell’11 settembre: dopo quell’evento traumatico i media operano per evitare che un shock analogo colpisca lo spettatore e per fare ciò preconfigurano mediaticamente scenari possibili, in modo che quando il cosiddetto reale si verificherà esso sarà già stato premediato. In questo senso allora la mediazione è radicale: la mediazione, non è, dice Grusin, qualcosa che si pone tra entità già costituite, ma è il processo attraverso cui tali entità, soggetti e oggetti, prendono forma. Non c’è un’origine e una fine, bisogna partire dal mezzo, appunto con la mediazione.

Come si è mosso nell’ambito americano questo studioso?

Grusin, che nasce come uno studioso di letteratura americana, dialoga molto con la tradizione culturale statunitense. In particolare nei saggi antologizzati si confronta con William James e Alfred North Whitehead. Inoltre è molto attento al dibattito filosofico e mediologico lui contemporaneo: ha posizione molto diverse, ad esempio, da Lev Manovich e invece si pone nella stessa linea di pensiero di un filosofo come Massumi.

La sua traduzione viene dopo quella italiana del testo scritto a due mani da Jay D. Bolter e Richard Grusin, già citato prima (Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi), uscito nel 2002 per Guerini e Associati. Perché tutto questo tempo tra i due volumi?

Penso che il motivo sia solo da ricondurre a logiche editoriali. Non le nego che trovare un editore non è stato semplicissimo e quindi non posso che lodare la casa editrice Pellegrini e il direttore della collana, il prof. Roberto De Gaetano. Gli scritti di Grusin sono importanti per chiunque oggi, nell’ambito scientifico ma non solo, voglia comprendere questo strano, ed inedito, mondo ibrido in cui viviamo.

 

MARIA GRAZIA FALÀ

 

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