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Giorno: 9 Aprile 2019

Fabio Cleto: “Tempo di serie, narrativo, produttivo, distributivo”

“Tempo di serie, narrativo, produttivo, distributivo”

Un testo su serialità e tempo a cura di Francesca Pasquali e Fabio Cleto

Fabio Cleto

Una scelta, quella di occuparsi del tempo, in quanto categoria imprescindibile per lo studio delle serie TV. Tempo inteso dal punto di vista narrativo, distributivo, produttivo. Binge watching come modalità di fruizione che “sfasa” la vecchia modalità. Poi, “storie di caso” che consentono di confrontarsi con il ruolo che opere come Mad Men o 1992 hanno avuto ed hanno oggi rispetto a categorie centrali come la memoria, la messinscena della storia. Inoltre, serie TV come The Wire definite visual novel e che possono essere intese così solo se il termine può essere investito di una chiave interpretativa. Infine, fanfiction in quanto produzioni eterogenee ed eteroprodotte. Sono questi i punti principali toccati in un colloquio con Fabio Cleto, docente di Storia Culturale all’Università di Bergamo. Cleto, insieme a Francesca Pasquali, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi sempre all’Università di Bergamo, ha curato Tempo di serie. La temporalità nella narrazione seriale, edito nel 2018 da UNICOPLI.

Perché occuparsi del tempo nelle serie televisive?

Abbiamo voluto organizzare una giornata di studi in merito e ci è parso che una delle categorie più utili per parlare di serie televisive fosse il tempo, nella sua natura molteplice e sfaccettata. Il tempo di cui ci siamo occupati è composto, e va dall’economia del tempo, inteso come la modalità in cui le serie TV hanno modificato e segnato dei passi produttivi, al tempo in chiave di distribuzione, che coniuga i tempi di fruizione alle dinamiche di consumo. Infatti, le serie televisive sono nate con la messa in onda di un tempo pubblicitario e con una forma di consumo meccanizzato nel tempo, oppure sono state fruite in DVD. Vi sono invece quelle che vengono offerte nella loro interezza e così presuppongono una visione diversa. In questo senso, studiando la produzione e la distribuzione, possiamo dire che le serie televisive trovassero nel tempo la loro matrice. D’altro canto questo vale anche sul piano narratologico, e nel libro si è parlato pure della forma che si dà al tempo. Di questi tre aspetti (distributivo, produttivo, narrativo) del tempo, Anna Sfardini e Cecilia Penati danno le coordinate nel saggio di apertura, e i contributori ne hanno esplorato i vari tasselli.

Un altro fenomeno che rivisita il concetto del tempo è il cosiddetto binge watching, ovvero la fruizione simultanea di più puntate di una serie. Ce ne potrebbe parlare?

Il binge watching ha fortemente a che fare con le modalità di consumo: nel momento in cui esso si produce, si ha il consumo onnivoro, vorace, che è consentito da distributori come Netflix, Amazon, ecc., che mettono a disposizione l’intera stagione di una serie televisiva. Questa è un’evoluzione del consumo ossessivo di DVD di qualche tempo prima, e che ora è diventato un fattore strutturale. Una serie televisiva può essere vista in una puntata a settimana, oppure anche tutta insieme, magari in una nottata, e ciò dà un aspetto particolare alla fruizione, anche perché si può avere il segno del nostro tempo che interpreta una serie TV.

Tempo di serie contiene anche storie di caso come Mad Men, In nome del papa re, 1992…

TEMPO DI SERIE

Non sono sicuro che l’espressione “storie di caso” sia la categoria più appropriata nel momento in cui casi come Mad Men o 1992 sono stati strumenti per parlare di qualcos’altro. C’è il rapporto tra lo statuto del romanzo e lo statuto della serie, interamente provato in un testo come Mad Men, che fa parte di un ideale canone della serialità televisiva ed è un caso esemplare, per la fortuna critica oltre che di pubblico che ha avuto. In lavori come questo o come 1992 vi sono strumenti che consentono di confrontarsi con il ruolo che le serie TV hanno avuto ed hanno oggi rispetto a categorie centrali come la memoria, la messinscena della storia. Così il tempo non è solo il tempo della narrazione, ma anche quello raccontato, rappresentato, vissuto, ricordato.

Serie televisive come The Wire sono state definite visual novel. Lei cosa ne pensa in proposito?

Trovo che il rinvio alla formula del romanzo può essere interessante se investita in una chiave interpretativa. Cioè: perché ci interessa descrivere la serie TV non come tale ma come romanzo visuale? Forse perché questo serve come sua legittimazione come ancora oggi si può ritenere che richieda? Oppure perché le strutture fondamentali della narrazione delle serie provengono dal romanzo a cui appunto queste si aggiungono? In base alla domanda che ci poniamo troviamo una risposta diversa. In questo senso io non sono né in accordo né in disaccordo. A seconda del quadro in cui si colloca l’accostamento con la narrativa romanzesca il paragone tiene o meno, se si pensa a quanto il romanzo abbia storicamente elaborato la propria forma sia come forma narrativa sincretica, che tiene insieme la narrativa precedente, sia in quanto struttura che ha trovato nella serialità una delle proprie forme principali, sia nelle puntate periodiche sulle riviste, sia nella pubblicazione in volumi. Il romanzo ottocentesco inglese per definizione è il romanzo a tre piani, three decker, in tre tomi, che presupponeva un consumo a blocchi. Quanto detto fornisce delle matrici che possono inquadrare una narrazione del nostro tempo che però va valorizzata non in un semplice rapporto di analogia o di derivazione, ma nella sua specificità. Quindi, il tempo delle serie TV come strumenti di interpretazione del nostro tempo e non di un altro.

Potrebbe chiarire ai lettori il punto in cui parla del three decker?

In larga misura il romanzo ottocentesco inglese viene pubblicato in volume in tre libri. Questo è il formato che si chiama three decker, cioè a tre piani. Anche i romanzi come quelli dickensiani, che vengono pubblicati a puntate su rivista, venivano poi raccolti in tre tomi. Questo perché i tre tomi venivano prestati, c’erano principalmente le biblioteche itineranti che prestavano per una ghinea a libro, e quindi l’opera intera rendeva tre ghinee, dato che i lettori erano tre contemporaneamente. Pertanto per ragioni produttive si seguiva un certo modello di lunghezza, ed ecco che anche allora le ragioni produttive tenevano in debito conto le modalità diverse di lettura, che erano quella su rivista (quindi con la suspence, le cesure, ecc.), ma anche l’estensione su tre libri che presupponeva una circolazione in tre libri per le biblioteche. Quando a fine ‘800 il costo della carta scende e i costi di produzione consentono un’altra modalità produttiva, non a caso si passa alle serie economiche e quindi alla vendita (non più al prestito), che presuppone un volume solo. Questi sono esempi storici di quanto il tempo della fruizione e quello della produzione vadano a braccetto.

In Tempo di serie vengono menzionati anche fenomeni come la fanfiction, di cui parla Giovanni Boccia Artieri…

Quello che emerge nel volume, per esempio nel saggio da lei citato, è che la serialità televisiva pesca dai confini di se stessa in modo tale da comprendere, al suo interno, uno stuolo produttivo, come ad esempio la fanfiction, che si colloca a margine. La serialità televisiva è un motore del discorso, e alimenta anche testualità eterogenee e eteroprodotte a partire dagli utenti. Pensiamo solo a quanto una serie canonica come Lost abbia avuto la capacità di ingaggiare lo spettatore in un gioco di produzione di senso di cui magari gli autori non erano neanche pienamente responsabili.

MARIA GRAZIA FALÀ

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