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Giorno: 10 Ottobre 2018

Antonio Tursi: “Fantascienza, in controluce conflitto politico”

“Fantascienza, in controluce conflitto politico”

Riletto il genere come specchio della sfera pubblica tra empatia e razionalità

Antonio Tursi

Osservare la connessione tra la politica e la fantascienza per leggere il conflitto politico legato alla nuova ridefinizione del corpo e dello spazio nello scenario delle tecnologie digitali. Dracula e il mostro creato da Frankenstein come espressioni delle inquietudini della società ottocentesca ma anche come prodromi della mutazione dei corpi del XXI secolo. La fantascienza come specchio delle insicurezze non avvertite dai contemporanei perché, come sostiene McLuhan, “i pesci non sono consapevoli dell’acqua in cui nuotano”. Poi, in Avatar, una politica empatica, che suscita emozioni, contrapposta a quella razionale tipica del pensiero liberal – democratico moderno. Infine, una situazione politica italiana che ruota intorno alle emozioni, sfruttate da tutti i politici, da Renzi a Salvini e a Di Maio.

“I due modelli (emotivo e argomentativo, volendo schematizzare) non sono negativi o positivi di per sé, ciò che è positivo o negativo, ciò che aiuta o meno la politica e i cittadini è comprendere il funzionamento dei media e della sfera pubblica”.

Con queste parole Antonio Tursi, dottore di ricerca e docente abilitato in Filosofia politica, conclude la sua intervista che commenta il suo Immagini del conflitto. Corpi e spazi tra fantascienza e politica, edito di recente da Meltemi, nella collana “Nautilus”.

Il suo libro si snoda attraverso “medaglioni” di vari autori di fantascienza. Qual è il filo portante?

I saggi che ho raccolto in questo volume riguardano autori, registi, romanzieri del genere fantascienza. Partendo da essi ho cercato di portare avanti un discorso sul rapporto tra la fantascienza e la politica. Nella fattispecie la fantascienza, come l’arte in generale, ma a maggior ragione la fantascienza per le sue implicazioni e gli oggetti di cui tratta, rivela la dimensione attuale del conflitto politico. Tale dimensione è ridefinita dalle tecnologie in generale e da quelle di comunicazione in particolare, tecnologie sulle quali la fantascienza si incentra ampiamente. Un fatto da sottolineare è che questo genere spesso viene avvertito come proiettato nel futuro o in altri pianeti, mentre condensa in immagini potenti, evocative, i conflitti del nostro presente. In particolare, quando parlo di conflitto politico, mi riferisco a due dimensioni che le nuove tecnologie hanno ridefinito in profondità.

La prima riguarda il tracciamento stesso dei nostri corpi. Il corpo non è una datità naturale, come spesso si tende a credere, ma una costruzione artificiale. Le nuove tecnologie di comunicazione, le tecnologie digitali, ma anche quelle biogenetiche, evidentemente, che hanno a che fare con il diretto intervento sul bios, ridefiniscono i confini del nostro corpo. Figure come quelle del cyborg, che la fantascienza ha reso disponibile negli anni, ci dicono qualcosa in proposito.

L’altra dimensione del conflitto riguarda la ridefinizione dello spazio in cui abitiamo e agiamo. Attraverso le nuove tecnologie siamo infatti immersi in un nuovo ambiente di vita, un ambiente digitale, virtuale, immateriale, che non è alternativo al tradizionale ambiente che percorriamo tutti i giorni, ma si integra con quello, arricchendolo e ridefinendolo.

Lei ha parlato di Victor Frankenstein e della sua mostruosa creatura, nonché di Dracula come paradigmi di una società positivista con le sue inquietudini legate alla nascente industrializzazione…

Il primo saggio del libro in effetti riguarda due potenti figure dell’immaginario occidentale, cioè il mostro del dottor Frankenstein e il conte Dracula, figure venute fuori dai romanzi di Shelley e di Stoker rispettivamente agli inizi del XIX secolo, nel 1818, e alla fine, nel 1897. Frankenstein e Dracula ci dicono qualcosa su ciò che il XIX secolo stava elaborando nelle sue viscere. Esso è l’epoca di una industrializzazione massiccia della società occidentale, una società che si pensa come macchina (ecco il positivismo) e che, nonostante ciò, o proprio a causa di ciò, riverbera delle inquietudini, nasconde qualcosa di perturbante, che appunto Frankenstein e Dracula condensano e ci mostrano. Il corpo del mostro creato da Frankenstein è costruito assemblando parti di cadaveri, quello di Dracula muta continuamente le sue forme. Mi è sembrato quindi che essi, colte queste caratteristiche dei loro corpi, potessero essere di interesse in quanto mostrano l’ibridazione e l’instabilità del soggetto moderno. Ibridazione e instabilità che arrivano sino a noi, in quanto mai come nel nostro presente i corpi sono ibridi e mutanti, sono corpi di cyborg. Insomma, i cambiamenti di oggi sono già mostrati in parte da queste figure del XIX secolo.

Lei legge Utopia di Thomas More (1516), Brave New World di Aldous Huxley (1932), Snow Crash di Neal Stephenson (1992) come riflesso delle inquietudini rispettivamente per l’instabilità della società mercantile di Enrico VIII, per l’orrore degli stati totalitari del XX secolo, e infine per l’accelerazione sfrenata del sistema capitalistico nel passaggio di millennio. È così?

Vale per questi testi quanto detto in precedenza: la fantascienza, o anche l’utopia che di essa è un po’ precorritrice, riesce a condensare quelle inquietudini, quei conflitti che non sono avvertiti dai contemporanei. In questo senso ci viene in aiuto Marshall McLuhan quando descrive il ruolo dell’artista affermando: “L’artista è l’unica persona in ogni epoca che osi guardare al presente, il resto del genere umano guarda nello specchietto retrovisore.” Chi si è cimentato nello scrivere queste opere ha saputo quindi guardare alle proprie società, anche se poi le ha trascritte in scenari futuristici o in altri luoghi (l’Utopia di More è ambientata in un’isola del nuovo mondo). In questo senso un altro passo di McLuhan proprio su questo dice: “È affascinante studiare la storia delle utopie, dove si pensava sempre di proiettare delle immagini ideali di epoche ancora da venire, mentre in effetti si tracciavano dei quadri ricchi di dettagli dei tempi appena trascorsi.” Questo vale per tutti i testi citati come anche per la Repubblica di Platone. Nel caso di More, lui ha di fronte una situazione inglese instabile, dove si iniziavano a “chiudere” le terre (enclosures), si delineavano i rapporti tra le religioni (tra la religione cattolica e quelle riformate), emergeva l’intenzione di affacciarsi sull’Atlantico e entrare nel Mediterraneo. Rispetto a questo mondo More traccia quelle che sono a suo avviso le deficienze, le lacerazioni, i conflitti, e cerca di compensarli nel suo mondo ideale che è Utopia.

La stessa cosa vale anche per Stephenson. Oggi il sistema capitalistico, segnato dalla finanziarizzazione, abbandona le fabbriche con la loro materialità, per proiettarsi nel mondo della finanza. Questo è un mondo immateriale, dove il denaro si virtualizza, e Neal Stephenson è stato tra i primi a cogliere questa dimensione altra rispetto a quella del capitalismo tradizionale. Il suo Metaverso (un mondo virtuale) è una delle prime immagini del mondo delle nuove tecnologie che noi abitiamo oggi quotidianamente e inavvertitamente. Come direbbe sempre McLuhan, “i pesci non sono consapevoli dell’acqua in cui nuotano”: noi non siamo consapevoli dell’acqua virtuale, digitale in cui nuotiamo.

Le preoccupazioni verso gli stati totalitari sono espresse anche da un altro testo spesso appaiato a Brave New World (“Il mondo nuovo/Ritorno al mondo nuovo”): si tratta di 1984, che descrive gli stati totalitari del XX secolo. Huxley, al contrario di Orwell in 1984, avverte che quelle dittature possono anche realizzarsi in modo diverso, cioè non attraverso una sorta di imprigionamento delle emozioni, delle capacità espressive dell’uomo, ma tramite un loro pieno dispiegamento. Tramite l’imperativo ad essere felici: questo è ciò che viene messo in evidenza da Brave New World, una sorta di contrappasso delle dittature del XX secolo. È un nuovo totalitarismo quello che Huxley immagina, un totalitarismo imperniato sul principio del piacere per cui bisogna per forza godere. Spesso (ma non sempre appropriatamente) questo principio viene indicato come fondamento della società consumistica, che non riconosceremmo immediatamente come totalitaria, ma in cui sembra vigere una sorta di imperativo ad essere felici, felici per forza. Un altro romanzo scritto un po’ prima di Brave New World e ad esso simile nei contenuti è Noi (“Noi”) di Evgenij Zamjatin. In questo volume, che è un’altra visione utopica o distopica che dir si voglia, perché poi l’utopia sfocerà in distopia, si racconta di uno stato totalitario in cui il principio del piacere è contrapposto alla libertà (si può essere felici a patto di non essere liberi).

Lei parla di politica empatica a proposito dei nativi di Avatar di James Cameron (Usa, Gran Bretagna, 2009) e in generale di immaginario come nuovo spazio del conflitto (soprattutto con riferimento ai lavori di William Gibson). Quanto è attuale tutto ciò alla luce della presente situazione politica italiana?

Nei testi precedenti a Immagini del conflitto trattavo di sfera pubblica e partecipazione politica – concetti ridefiniti nello scenario delle nuove tecnologie digitali – e facevo riferimento anche alla politica italiana. Infatti nel mio Partecipiamo. Tra autorappresentazione dei media e rappresentazione dei partiti (2015), la terza parte è dedicata proprio al laboratorio italiano.

Qual è la parola chiave che ci permette di mettere in connessione quegli studi più politologici e questi ultimi che sono più sull’immaginario tecno-scientifico? La parola è “emozione”. Le nuove tecnologie, in un processo già avviato dalla TV che infatti per McLuhan è un medium freddo, cioè profondamente coinvolgente e partecipazionale (e questa partecipazione è aumentata con questi nuovi dispositivi digitali), hanno ridefinito la sfera pubblica, facendo sì che il coinvolgimento emotivo diventasse centrale. In un libro di un politologo francese, Dominique Moïsi (Geopolitica delle emozioni), si divide il mondo in tre grandi blocchi, dove ognuno vive scosso o movimentato da una grande emozione, la paura, la rabbia o la speranza. Ecco, anche la sfera pubblica attuale italiana è fortemente emotiva.

Oggi è facile sollecitare le corde emotive degli italiani indicando la paura degli immigrati, oppure per esempio la rabbia per le scarse opportunità di lavoro. Tutti i leader attuali, perché quanto detto vale per Salvini e per Di Maio/Grillo, ma anche per Renzi nella prima fase della sua ascesa, giocano sul registro emotivo. Naturalmente le emozioni sono diverse: ci sono leader che suscitano emozioni negative come rabbia e paura, e altri che ne sanno suscitare di positive come la speranza. Per esempio uno degli slogan di Obama era Hope, “speranza”, e a anche l’altro slogan, I can, “io posso”, è un richiamo alla speranza.

Attualmente una politica che voglia parlare ai cittadini non può fare a meno di essere consapevole di questa dimensione emotiva creata dai nuovi media.

In film come Avatar ho intravisto, ovviamente attraverso le immagini della fantascienza, due modelli diversi di sfera pubblica in azione. Schematizzando: un modello della sfera pubblica basato sulla razionalità (sulla forza delle argomentazioni) e uno fondato sulla emotività (sul coinvolgimento empatico). I due modelli non sono negativi o positivi di per sé, ciò che è positivo o negativo, ciò che aiuta la politica e i cittadini è comprendere il funzionamento dei media e della sfera pubblica. Se non si capisce come funzionano questi due elementi si farà il gioco di chi, comprendendoli, sollecita solo determinate emozioni.

MARIA GRAZIA FALÀ