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Giorno: 14 Gennaio 2018

D’Aloia e Eugeni: “Cinema? Sì, ma con la filosofia, le neuroscienze e la mediologia”

“Cinema? Sì, ma con la filosofia, le neuroscienze e la mediologia”

D’Aloia e Eugeni parlano di “Teorie del cinema”, antologia da loro curata per Raffaello Cortina Editore

Ruggero Eugeni

Un’antologia che nasce dalla percezione di colmare un vuoto culturale, e che quindi vuole offrire un quadro aggiornato della teoria del cinema degli ultimi quindici anni circa. Una pubblicazione che fa da contraltare al numero monografico di “Cinema & Cie”, del 2014, che si occupa innanzitutto del rapporto tra cinema e neuroscienze, mentre questa contiene saggi dedicati a film e filosofia, film e neuroscienze, film e mediologia. Inoltre, tre concetti chiave da prendere a paradigma delle tre diverse sezioni del testo: senso dell’esperienza della visione del film; cervello dello spettatore e il suo rapporto con il corpo e la mente; idea di “dispositivo”. Infine, una disciplina sorta da poco, l’archeologia dei media, che “passa” attraverso la pratica storica per delineare una storia dei media non finalistica, ma che, dei media, prevede riscoperte, fiumi carsici che riaffiorano. Di questo parlano Adriano D’Aloia, ricercatore all’Università Telematica Internazionale UniNettuno, e Ruggero Eugeni, professore di Semiotica dei media alla Cattolica di Milano, presentando Teorie del cinema. Il dibattito contemporaneo, antologia edita di recente da Raffaello Cortina Editore e da loro curata.

Come nasce questo libro, e come si pone rispetto al numero monografico di Cinema & Cie” del 2014, sempre da voi curato e destinato al rapporto tra cinema e neuroscienze?

Eugeni: L’antologia nasce dalla percezione di un vuoto culturale: mancava in Italia un quadro aggiornato della teoria del cinema degli ultimi quindici anni circa. E questo a fronte di una perenne vitalità del cinema, dei media audiovisivi, nonché dei discorsi critici e perfino filosofici che i film e le serie televisive sollecitano. Volevamo ridare visibilità al discorso teorico sul cinema e gli audiovisivi, che consideriamo vivo e necessario.

D’Aloia: il numero di Cinema et Cie sulla Neurofilmologia si connette immediatamente alla sezione centrale del volume sulle teorie

Adriano D’Aloia

contemporanee, dedicata alla relazione tra teoria e scienze sperimentali. Tuttavia molto di quanto dicevamo è connesso alla sezione dedicata al rapporti tra cinema e filosofia (penso ai saggi di Vivian Sobchack e di Raymond Bellour) e anche alla terza sezione, dedicata al rapporto tra il cinema e i media.

Quali parole – chiave prendereste a paradigma delle tre diverse sezioni del testo?

Eugeni: L’idea di fondo della nostra antologia è che la teoria del cinema oggi esiste come pratica interstiziale, di dialogo con altre discipline: la filosofia, le neuroscienze, la mediologia. Ognuno dei tre fronti del dialogo ha visto calamitarsi gli interventi intorno ad alcuni concetti chiave: per la filosofia il senso dell’esperienza della visione del film; per le neuroscienze il cervello dello spettatore e il suo rapporto con il corpo e la mente; per la mediologia l’idea di “dispositivo” – un concetto oggi al centro di numerosi dibattiti e riflessioni: è appena uscita per l’editore La Scuola la prima traduzione italiana degli scritti dedicati al concetto da Jean-Louis Baudry, che ben si collega alla terza sezione del nostro volume.

D’Aloia: Questo non vuol dire una separazione tra i tre settori: la teoria non solo dialoga con, ma fa dialogare reciprocamente le discipline variamente interessate al cinema. In generale negli ultimi anni abbiamo assistito a un forte interesse per l’esperienza vivente e vissuta del cinema, con tutti gli aspetti emozionali e corporei che esso implica. Un secondo fuoco di interessi è stato il rapporto tra cinema e ambienti mediali complessi: il cinema dimostra la sua vitalità rilocandosi in spazi imprevedibili, dai megaschermi urbani ai telefonini.

Archeologia e storia dei media: qual è la differenza, e perché solo oggi nasce tale disciplina? E che dire, allora, di manuali come quello di Denis McQuail o, per restare in ambito italiano, del prematuramente scomparso Mauro Wolf?

Eugeni: Quelli di McQuail e di Wolf sono libri che parlano di teorie “classiche” dei media, invece nel caso dell’archeologia dei media parliamo di una teoria di nuova generazione, che “pensa” attraverso la pratica storica – secondo la lezione di Michel Foucault cui si deve il termine “archeologia” nell’accezione di questa disciplina.

D’Aloia: L’idea degli archeologi dei media, e questo lo dice bene il saggio di Erkki Huhtamo e di Jussi Parrikka, è che il modo tradizionale di fare storia è finalistico, come se la storia dei media soggiacesse a uno sviluppo prefissato. Invece per gli archeologi dei media esistono tantissime piste interrotte, invenzioni che non hanno avuto sviluppo, e quindi tante storie dei media oscure, nascoste, che vanno riscoperte. Non a caso alcuni di questi studiosi sono anche collezionisti di vecchi apparecchi che non sono poi stati sviluppati.

Perché si parla proprio oggi di archeologia dei media?

Eugeni: Perché oggi i media non esistono più: nel momento in cui essi vengono in qualche modo riprodotti e simulati a partire dal digitale, allora si può cominciare a guardare ad essi con un distacco prima impossibile. Si comincia quindi a fare un’archeologia che è metastoria e che chiede un doppio grado di distacco rispetto ai media.

MARIA GRAZIA FALÀ

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