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Giorno: 8 Dicembre 2017

Vanni Codeluppi: “Pubblicità e divismo, forme di seduzione”

“Pubblicità e divismo, forme di seduzione”

Vanni Codeluppi racconta il suo “Il divismo”, edito di recente da Carocci

Vanni Codeluppi

Divismo e pubblicità come forma di seduzione e quasi come un rito religioso, che ha sostituito in parte, insieme ad altre forme culturali, quel trascendente scomparso nella società capitalista. Divismo esistente in tutte le società, ma che nasce nelle forme moderne quando il cinema hollywoodiano ha usato i mass media per comunicare la sua immagine. Non tanto divismo forte e debole, quanto figure di divi forti e deboli a seconda delle epoche e soprattutto dei media (forte con il cinema, debole con la TV e il web). Flessione della figura del divo con la TV, quando la vicinanza allo spettatore lo ha “umanizzato”. Poi il web, quando il divo mantiene ancora la sua posizione distaccata parlando di sé e non interagendo con i fan, ma comunque diventa, ancora una volta, più accessibile. Infine, la possibilità che anche la persona comune, attraverso i social, possa diventare divo usando i media proprio come avevano fatto i manager delle stelle del cinema americano dagli anni Venti del Novecento in poi. Sono questi i tratti più significativi del recente Il divismo. Cinema, televisione, web, edito da Carocci e scritto da Vanni Codeluppi, ordinario di Sociologia dei media all’Università IULM di Milano.

Lei ha scritto in La società pubblicitaria, del 1996, che “ogni atto di comunicazione contiene in sé l’obbligo di sedurre” (p. 49). È vero sia per il divo, sia, come ha detto il pubblicitario Jacques Séguéla da lei citato, per una merce?

Ancora oggi penso che la comunicazione sia una forma di relazione umana e sociale che prevede una strategia di seduzione, in quanto prevede un soggetto che attraverso il suo punto di vista cerca di influenzarne un altro. È chiaro che c’è una strategia di seduzione, di parte, che non corrisponde a verità, da parte di chi parla rispetto a chi riceve il messaggio. Alcuni autori parlano di vera e propria menzogna: anche Umberto Eco, nel suo Trattato di semiotica generale, sostiene che la comunicazione è menzogna, appunto perché è comunicazione di parte. Possiamo applicare un modello di questo tipo al mondo del consumo, perché è basato sul commercio, quindi sul tentativo di convincere un acquirente ad acquistare determinati prodotti. Da quando esistono le prime forme di civiltà umana abbiamo una forte presenza dell’attività commerciale, la società si deve basare sullo scambio delle merci e quindi questo ha comportato anche lo sviluppo di attività di comunicazione di vario tipo. Infatti già nell’antichità troviamo tracce di attività pubblicitarie.

Se poi pensiamo al divo, cioè alla persona con uno status importante nella società e che quindi deve comunicare in modo particolarmente potente, per fare questo esso utilizza una modalità seduttiva e usa sia gli strumenti, appunto, della comunicazione sia, per valorizzarsi, un certo modo di presentarsi e di atteggiarsi rispetto alla gente comune.

Il trascendente è stato tendenzialmente eliminato, come ha sostenuto il sociologo Max Weber, nelle società capitalistiche. Tuttavia si può pensare che il bisogno di spiritualità ritorna nella dimensione divistica e pubblicitaria?

La tesi di Weber parlava di una razionalità delle società capitalistiche e quindi di un processo di “raffreddamento” in queste rispetto a tutte le dimensioni trascendenti e anche irrazionali, come forme religiose di vario tipo e più in generale la sfera del magico. Questa è stata considerata a lungo una tesi molto importante, ma in realtà il trascendente ha trovato delle forme di emersione sotterranea (pensiamo alle sette religiose che si sono moltiplicate in questi anni). Oggi le persone soddisfano il loro bisogno di spiritualità in varie forme, e una di esse è probabilmente quella del rapporto di adorazione rispetto a determinati divi.

Per quanto riguarda la pubblicità (ma pensiamo anche ad altre forme di tipo culturale, come il cinema, e al rapporto che riesce a stabilire con l’inconscio), anch’essa è una delle forme con cui si offre una risposta a un bisogno di spiritualità. Infatti è una delle forme attuali di esperienza trascendente perché la sua intensa natura comunicativa le consente di trascendere la dimensione materiale delle merci e di fare vivere alle persone delle emozioni coinvolgenti.

Quando si verifica il processo di identificazione con il divo? Ci sono delle epoche in cui ciò avviene in modo particolare?

Probabilmente nella storia umana ci sono sempre stati fenomeni di divismo, anche se erano molto diversi da quelli di oggi: non avevano, per esempio, la possibilità di usare mezzi di comunicazione come quelli odierni, erano riservati a poche figure di potere come i grandi condottieri della storia. Dall’inizio del ‘900 l’industria cinematografica hollywoodiana ha creato il divismo moderno, che fondamentalmente si basa sull’uso dei media (nei primi tempi soprattutto la stampa). Si sono quindi avuti vari strumenti con cui costruire e comunicare l’immagine del divo, e quindi creare un processo di identificazione ancora più intenso. Il divo è una figura ideale, ed è sempre stata così, le persone gli si avvicinano perché si identificano e si proiettano in quello che esso rappresenta anche nel suo modello di persona, nel suo successo sociale. Appunto dagli inizi del ‘900 c’è stato un rafforzamento di tale processo, nel senso che è stato possibile costruire divi particolarmente forti e affascinanti, come Humphrey Bogart, Marlene Dietrich, Greta Garbo, ecc.

In che momento si può parlare di divismo forte? E debole?

Non parlerei di divismo forte e debole, ma piuttosto di divo forte e debole, nel senso che il divismo, appunto, è una costante particolarmente presente nella vita sociale: l’arrivo dei media contemporanei ha consentito di rafforzare questo fenomeno e di diffonderlo sempre più, e quindi di far sì che oggi lo troviamo non solo nel mondo del cinema, ma anche in quello dello sport, della moda, dell’arte, ecc.. In passato i divi del cinema erano particolarmente forti, oggi il divo si è moltiplicato e questo l’ha indebolito. Il divo si è avvicinato alle persone anche per l’evoluzione del mondo dei media avvenuta negli ultimi decenni. La TV e il web hanno indebolito la figura del divo perché hanno abituato le persone a un rapporto di familiarità, di vicinanza quotidiana con quest’ultimo. Ciò non vuol dire che esso non possa funzionare in modo efficace, anzi, continua ancora a funzionare molto bene, e quindi credo che il divismo sia più forte che mai.

Sia in La società pubblicitaria che in Il divismo diceva che i divi del cinema negli anni Novanta hanno subito una flessione…

Negli anni Settanta c’è stata tutta la rivoluzione del cinema giovane (alludo alla Nuova Hollywood) con la comparsa di nuovi registi (Scorsese, Coppola, ecc.). Tuttavia, il cinema è stato cambiato profondamente anche perché è arrivata la TV e quindi ha dovuto ristrutturarsi. Nonostante ciò, pian piano ha visto emergere nuovi divi: negli anni ‘80 – ‘90 ne sono comparsi alcuni che ancora oggi hanno un grande successo e fascino, come Brad Pitt, Leonardo Di Caprio, Julia Roberts, George Clooney, ecc.. Ma il cinema nel suo complesso non ha avuto più la forza che aveva prima, ha perso spettatori, è diventato uno dei mezzi insieme a tanti altri, consumato non solo in sala, quindi non ha offerto più quella forza che arrivava dal grande schermo, al buio, in una condizione di passività dello spettatore. Lì c’era una seduzione forte, emozionante, suggestiva per chi guardava. Questa cosa si è un po’ indebolita rispetto al passato, anche se rimangono ancora delle figure importanti.

Come si profila il ruolo del divo nell’epoca dei social media?

Apparentemente i social sono uno strumento democratico nel rapporto tra il divo e i fan, però già alcune ricerche empiriche dicono che il divo riesce comunque, dietro una facciata di democraticità, di relazione quasi paritaria con i fan, a mantenere il suo ruolo superiore, privilegiato: per esempio il divo parla di se stesso, non si mette a interagire con i fan, si limita a raccontare di sé e della sua vita. Quindi, anche se c’è una maggiore vicinanza tra il divo e i fan attraverso i social, il meccanismo rimane ancora quello, di identificazione in un soggetto affascinante che vive in un spazio superiore rispetto alle persone comuni.

Esistono forme di divismo generate “dal basso”?

Ci sono anche delle persone comuni che diventano divi: per una persona è più facile, attraverso gli strumenti di comunicazione attuali, come i social, passare dal ruolo della posizione comune a quella del divo. Giovani youtuber, blogger, influencer di vario tipo diventano dei divi a loro volta, usano i media per far arrivare una certa immagine di sé, riproducendo ancora una volta quel modello che è appunto quello classico del cinema hollywoodiano.

MARIA GRAZIA FALÀ

 

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