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Giorno: 10 Ottobre 2017

Daniele Barbieri: “Fumetti? Arriva la semiotica!”

“Fumetti? Arriva la semiotica!”

Uscito per la Carocci un testo che intende sistematizzare un campo di studi

Foto: Rafael Arbex – Estadão

“Un manuale è qualcosa che fa il punto su un campo che già esiste, mentre questo è un libro che vuole crearlo.” Con queste parole dette dall’autore si potrebbe definire l’essenza di Semiotica del fumetto, testo uscito recentemente per la Carocci e scritto da Daniele Barbieri, docente di Storia del fumetto e di Fenomenologia dell’immagine presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Un libro che descrive le differenze tra i vari atti di comunicazione narrativi come il romanzo, gli audiovisivi e il fumetto, e che pone questi aspetti come propedeutici alla terza parte dell’opera, quella forse più innovativa, cioè l’estetica della fruizione come percorso emotivo che il lettore ha da un testo.

Qual è stato l’iter di studi che l’ha portato da I linguaggi del fumetto, del 1991, da poco tradotto in portoghese, al recente Semiotica del fumetto?

Non vi sono trasformazioni radicali, c’è quello che può succedere in ventisei anni, nel senso che è cresciuta la mia competenza in campo semiotico e in quello del fumetto. I linguaggi del fumetto era senz’altro un libro semiotico però non specificamente tale, e non a caso la parola semiotica non compariva nel titolo. Semiotica del fumetto è invece un libro programmatico, con maggiori consapevolezze di carattere teorico, oltre anche a una maggiore competenza sui fumetti, che tra l’altro sono cambiati. All’epoca per esempio non esisteva ancora il giornalismo grafico, di cui invece qui si parla. Il giornalismo grafico consiste nel fare giornalismo, reportage, a fumetti. È una tradizione importante, nata negli anni Novanta, a partire da un giornalista statunitense, Joe Sacco, che ha scritto opere bellissime sulla Palestina, sulla Bosnia.

Vuole dire pertanto che Semiotica del fumetto è un manuale?

Non lo direi tale: un manuale è qualcosa che fa il punto su un campo che già esiste, mentre questo è un libro che vuole crearlo. La semiotica del fumetto non è mai stata sistematizzata, per lo meno in Italia, ci sono solo alcuni lavori un po’ diversi dai miei in Francia. Esistono tanti articoli miei e di altri, però nessun lavoro di carattere sistematico.

Cosa intende illustrare, in sintesi, questo suo libro?

Esso cerca di descrivere il linguaggio del fumetto, cioè parlare delle sue caratteristiche comunicative, caratteristiche che lo avvicinano e lo distinguono da altri atti di comunicazione narrativi come il romanzo, il film, il teatro. Tutto questo è propedeutico alla terza parte del lavoro, dove si cerca di capire come si costruisce nel lettore l’emozione della lettura. Si vuole vedere cioè come una storia riesce a creare nel suo lettore dei sistemi di aspettative, dei sistemi ritmici che sono quelli che gestiscono il percorso emotivo che il lettore ha, nella direzione di un’estetica della fruizione.

Quali sono le principali differenze tra romanzo e audiovisivi?

Quello che cambia tra romanzo, cinema, poesia, musica da un lato e fumetto dall’altro sono i modi specifici di costruire gli effetti. Tra le varie forme comunicative narrative c’è una somiglianza con il cinema e una comune differenza rispetto al romanzo, da un punto di vista che in semiotica si chiama enunciazionale. Un romanzo cioè deve avere un enunciante, una voce narrante. L’autore in esso rimane nascosto un passo più indietro, mentre il narratore, in un romanzo, non può non esserci, perché la parola è sempre pronunciata da qualcuno. Esso, invece, non è indispensabile al raccontare per immagini. Per esempio nel cinema qualche volta la voce narrante non c’è e il più delle volte non esiste affatto. Lo stesso vale nel fumetto, dove la voce narrante può esserci, ma non è necessaria, perché le immagini si presentano con una loro specifica autoevidenza, non hanno bisogno che vi sia qualcuno che le enunci. Questo fa delle differenze non piccole, perché nel racconto e nel romanzo si manifesta una soggettività che è quella del narratore, che può essere anche diversa da quella dell’autore, soggettività del narratore che nel cinema e nel fumetto può mancare.

Questo permette delle libertà diverse nei vari generi…

Certamente. Per esempio, nell’audiovisivo e nel fumetto è permessa una maggiore sottigliezza nell’attribuire il punto di vista a figure interne al racconto, cioè il gioco sulla soggettiva, mentre è molto difficile farlo nel romanzo.

Così, qualcosa che nel cinema e fumetto appare molto naturale, nel romanzo richiede procedure abbastanza artificiose. Questo vale anche al contrario: ci sono cose che nella struttura del romanzo sono molto semplici da fare e sono molto difficili da attuare nei due altri generi.

È sempre una questione di rapporti con l’enunciante, cioè la figura del narratore. Cinema e fumetto non possono gestire il sistema complesso dei tempi verbali come il linguaggio articolato, il discorso del flashback o del flashforward nel cinema e nella narrazione per immagini è invece molto più complesso, un po’ legnoso rispetto alla disinvoltura con cui si può fare nel romanzo, dove il sistema di tempi verbali crea una temporalità di relazioni.

Quali sono le differenze tra fumetto e audiovisivi?

L’audiovisivo è un universo in cui domina la riproduzione fotografica, nel fumetto domina quella disegnata. Un’altra differenza è da un lato la presenza del movimento, dall’altro la possibilità di evocarlo solo attraverso espedienti grafici. Inoltre il fumetto ha una continuità temporale come il cinema, mentre, diversamente, in esso ogni vignetta conta un breve lasso di tempo e lo spazio bianco tra una vignetta e l’altra ne scandisce l’andamento con un ritmo che nel cinema non c’è. Io posso fare come Hitchcock un intero film, come Nodo alla gola, con un unico piano – sequenza, ma ciò è impossibile con il fumetto, che è scandito in vignette.

Un altro aspetto che dipende sempre dalla potenziale assenza del narratore è il fatto che nel cinema e nel fumetto si racconta sempre al presente. Invece, le cose narrate nel romanzo sono sempre cose accadute, il tempo normale con cui si racconta è il passato.

Accade questo anche per prodotti televisivi come soap operas e telenovelas…

Certi tipi di serialità televisiva come soap operas o telenovelas sono molto adatte a una narrazione in cui non c’è un narratore, perché accadono sempre al presente, tutti i giorni succede qualcosa. Se io le inserisco in un racconto al passato le sto raccontando dal punto di vista di uno che sa già come è andata a finire, quindi non si possono costruire i medesimi effetti. Non dico che con la scrittura non si possa fare una cosa tipo soap operas, ci sono i romanzi epistolari con caratteristiche simili, però, mentre nel romanzo sono espedienti che richiedono costrutti un po’ artificiosi, anche se poi magari funzionano benissimo, nella storia per immagini sono assolutamente naturali. Poi, forse, il fatto che abbiano avuto ancora più successo nell’audiovisivo e in particolare nella televisione, piuttosto che nel fumetto, è che questa permette anche la scansione quotidiana, e che una soap ricompare tutti i giorni, alla stessa ora, e che si evolve un po’ come si evolvono le nostre stesse vite.

MARIA GRAZIA FALÀ

 

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