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Giorno: 3 Luglio 2017

Fabio Bordignon: “Renzi, in forse una leadership postmoderna?”

“Renzi, in forse una leadership postmoderna?”

Limiti di un modello senza una politica dal basso

Un voto contro il PD in quanto voto antisistema. Poi una leadership postmoderna, che rompe con gli schemi del passato, gioca molto sui meccanismi di tipo antipolitico e sulla dimensione mediatica della figura politica stessa. Durerà, dopo la sconfitta renziana? Inoltre, una comunicazione politica, quella del segretario del PD, vincente nel saper dominare i media ma che ha, punto debole, la sovraesposizione a questi. Poi, un crowfunding che viene sentito come “proprio” solo se viene attuata anche una politica dal basso, che coinvolga la base del partito. Infine, consiglio per superare l’impasse di queste amministrative, una leadership verticistica ma anche con una dimensione orizzontale e partecipativa, come il modello grillino e come quella di Renzi prima maniera. Sono queste le riflessioni di Fabio Bordignon, docente di Scienza politica all’Università di Urbino Carlo Bo e ricercatore di Demos & Pi.

Silvio Buzzanca, giornalista parlamentare de La Repubblica, ha detto che questo è stato un voto contro il PD al ballottaggio. Lei è d’accordo?

In generale ormai ogni voto, e soprattutto quello locale, si è trasformato in un voto contro il sistema e chi in quel momento lo rappresenta, come appunto il PD. Questo è un aspetto del tutto nuovo, nel senso che in passato l’essere uscenti e poter presentare un candidato che già sedeva sulla poltrona di sindaco era considerato un vantaggio. Oggi invece sembra capovolgersi lo schema ed essere incumbent, come si dice nella terminologia anglosassone, diventa un fattore che gioca contro. Quindi c’è un effetto legato alle difficoltà attuali del PD, ma esiste anche un meccanismo del voto contro, che ha ulteriormente alimentato il vento contro il Partito Democratico.

Insieme a Luigino Ceccarini sta per uscire per Springer un suo contributo su Matteo Renzi (Matteo Renzi: The Post-Modern Prince. Leadership and Communication in the Frame of the New Italian Transition). Inoltre, anche in altri casi lei si è occupato di questa figura politica. In ulteriori sue ricerche, cosa aggiungerebbe a ciò che ha scritto, visti gli ultimi risultati elettorali?

Aggiungerei che si trova in un momento difficile per quanto riguarda la tenuta della sua leadership, probabilmente la fase di maggiore difficoltà che non sembra arrestarsi dopo l’esito del referendum costituzionale sul quale aveva investito moltissimo. Quindi le domande che si ponevano negli studi che lei ha citato rimangono più attuali che mai. Non si tratta solo di scommettere sulla sopravvivenza del fenomeno Renzi, ma anche di verificare questioni teoriche molto rilevanti sulla solidità di quella che io chiamo leadership post – moderna, cioè una leadership che rompe con gli schemi del passato, gioca molto sui meccanismi di tipo antipolitico e sulla dimensione mediatica della figura politica stessa. Già con Berlusconi ci siamo chiesti se quella leadership costruita nell’arco di poco tempo, supportata da Forza Italia, descritta come un “partito di plastica”, avesse la capacità di durare nel tempo. Nel 1994, in particolare dopo la caduta del primo governo Berlusconi, molti immaginavano che l’esperienza potesse esaurirsi con la stessa velocità con la quale si era affermata. Oggi le stesse domande le troviamo quasi inalterate nel caso di Renzi. Qui però siamo in un’epoca diversa: dopo circa vent’anni soprattutto sul fronte dei media si sono affermati nuovi canali, Internet e i social network, attraverso i quali la politica si sviluppa. Essi sono in continuità con fenomeni quali la spettacolarizzazione, la personalizzazione e la drammatizzazione della politica, però se all’epoca della TV i processi politici erano accelerati, ora con i nuovi media vengono addirittura esasperati. Si tratterà di capire se tale accelerazione genererà un ulteriore accorciamento dei cicli politici e il caso Renzi, proprio perché ha messo la velocità quale cifra del suo agire, rappresenta un caso esemplare, e monitorarlo nei prossimi anni ci darà delle risposte agli interrogativi teorici menzionati.

Qual è stata la comunicazione politica di Renzi e in cosa ha fallito?

Ha fallito sia per aspetti legati alla comunicazione ma, forse in misura ancora maggiore, a quelli di strategia politica. Per quanto riguarda la comunicazione, Renzi ha saputo impostare un discorso politico in linea con la stagione populista e antipolitica che l’Italia sta attraversando. In questo senso è stato bravo a cogliere alcuni elementi vincenti sia di Berlusconi, quello della discesa in campo di venti anni fa, sia del discorso grillino più recente. Per esempio, è molto “grillino” e antisistema il concetto della rottamazione. Arrivato a Palazzo Chigi, e anche nei confronti del suo partito, ha riversato questo nucleo antagonista, e allora ha parlato di palude, di gufi che tifano contro, ecc.. Oltre a questo pregio, hanno pagato le doti mediatiche del leader ma, sempre sotto il profilo comunicativo, credo che non abbia funzionato l’eccessiva esposizione ai media come la sua onnipresenza in TV e sui social. Invece Berlusconi, pur essendo un leader con attributi fortemente mediatici, era solito intervallare periodi di grande presenza a momenti nei quali si eclissava, e tendenzialmente essi erano quando era al governo, e quindi doveva preservare la propria immagine dalla difficoltà di governare e dalle potenziali ripercussioni in termini di consenso.

Sotto questo profilo la scelta di rompere con Berlusconi al momento dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica all’inizio del 2015 rappresenta lo spartiacque. Quella scelta, che ha pure consentito a Renzi di cogliere quello che sul momento sembrava un successo, poi si è rivelata fondamentale nel determinare appunto l’esito negativo del referendum dello scorso dicembre.

Perché il punto di svolta si è avuto con la scelta di Mattarella a capo dello Stato?

È avvenuto perché Renzi è un leader pragmatico, che ragiona obiettivo per obiettivo, e forse è sempre portato a sopravvalutare le proprie capacità di gestire ogni situazione. Se noi portiamo indietro le lancette dell’orologio all’inizio del 2015 al momento delle elezioni di Mattarella e guardiamo i giornali dell’epoca, tutti descrivevano il grande successo di Renzi, la strategia, addirittura il risultato di aver “fregato” Berlusconi. Si pensava cioè che avesse battuto quello che invece era il grande giocatore d’azzardo della politica italiana almeno fino a quel momento, con il risultato di ricompattare la sinistra e il PD. Però già in quella fase, se si guardava in prospettiva, si poteva intravedere la fine della grande coalizione attorno alle riforme e quindi un’incognita aggiuntiva molto seria sull’esito del processo di riforma complessiva proposta da Renzi.

Gianluca Giansante, nel suo La comunicazione politica online, edito da Carocci, ha parlato di Obama e della sua politica di crowfunding, che ha portato a risultati positivi, come pure la personalizzazione delle email da inviare a potenziali sostenitori. Il PD ha adottato una politica analoga in Italia. Pensa che abbia pagato?

Per quanto riguarda la scelta di reperire i fondi per il sostentamento del partito anche e attraverso la rete o nuovi canali, si tratta pure qui di una scelta inevitabile. Infatti, venuti meno gli introiti derivanti dal tesseramento, diventato il finanziamento pubblico un canale per molti versi non percorribile perché sgradito a larga parte dell’opinione pubblica, ecco che queste nuove forme di reperimento fondi diventano inevitabili. Del resto il PD è un precursore da questo punto di vista, avendo inventato quel formidabile strumento di crowfunding che sono le primarie e le microdonazioni che derivavano dai due euro che si lasciano ai gazebo al momento del voto. Ma queste iniziative, per non apparire sgradevoli agli occhi dei cittadini, devono essere agganciati a meccanismi di coinvolgimento della propria base.

Quali azioni politiche di Renzi ritiene più fallimentari? Quelle verso i giovani delusi? Quelle di non aver saputo dotare il partito di una struttura radicata sul territorio?

Forse di non essersi occupato del proprio partito e di non averlo saputo rinnovare, come ha più volte promesso. Tuttavia, credo che sia fuorviante parlare di partito radicato sul territorio se intendiamo un modello organizzativo che si rifaccia agli antenati del PD, e cioè la DC e il PCI, perché essi sono non soltanto superati, ma anche improponibili rispetto alle trasformazioni che la società ha attraversato.

In questo senso il modello delle primarie ha rappresentato la più grande innovazione proposta dal PD che ha mostrato di funzionare, e Renzi stesso deve moltissimo a tale modello, visto che è il canale attraverso cui si è affermata la sua leadership a livello nazionale. Questo ci dice che, se il segretario del PD deve rilanciare il partito, deve farlo non rinunciando alla sua leadership, ma anche proponendo nuovi canali di partecipazione dal basso nella formulazione delle scelte del partito. Gli ingredienti vincenti del successo grillino, cioè la leadership verticistica, rappresentata dal duo Grillo – Casaleggio, e la dimensione orizzontale e partecipativa erano presenti anche nel Renzi prima maniera, cioè quello dell’epoca in cui era il sindaco di Firenze e della prima scalata al PD e poi al governo. Forse da questo punto egli dovrebbe ripartire nel ripensare sia la sua proposta politica, sia il modo in cui rivedere la struttura organizzativa del proprio partito.

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MARIA GRAZIA FALÀ