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Giorno: 18 Maggio 2017

Alberto Marinelli: “Nuova televisione, esperienza di consumo espansa”

“Nuova televisione, esperienza di consumo espansa”

Presentata al MAXXI di Roma la ricerca annuale dell’Osservatorio Social Tv sulle pratiche di visione televisiva

 

Una televisione con un tempo e un luogo di consumo espanso, senza limiti, perché facilitato da più device. Poi, rispetto al 2015, un aumento del consumo televisivo per la moltiplicazione degli schermi (accessibilità), per la migliore qualità tecnologica dei dispositivi (qualità), per il tam tam sui social media dei contenuti (ricercabilità), per la presenza di nuovi operatori che rendono l’offerta migliore (disponibilità). Infine, una forte produzione di “contenuti generati dagli utenti”, che contribuiscono a far circolare quelli creati dai programmi televisivi. Questi, oltre alle abitudini di consumo generate dall’interazione tra social e programmi televisivi, sono i risultati emersi da TV INTORNO. Tecnologie, setting, rituali e bisogni per un’esperienza di consumo espansa, una ricerca effettuata dall’Osservatorio Social TV per il 2016. L’indagine ha visto come partner tutti i principali editori televisivi che operano nel mercato italiano (Rai, Mediaset, SKY, Effe Tv – Gruppo Feltrinelli, ecc.), ed è stata diretta da Alberto Marinelli, docente di Teoria della comunicazione e dei nuovi media e Connected & Social Tv alla Sapienza di Roma, e da Romana Andò, che insegna Teoria e Analisi delle Audience, sempre nella stessa università. Alberto Marinelli parla dei punti salienti della ricerca in margine alla presentazione del report avvenuta il 16 maggio scorso al MAXXI di Roma.

Come commenta il fatto che attualmente si assiste a una fruizione maggiore della televisione?

NELL’ ULTIMO ANNO È CAMBIATO IL TEMPO CHE DEDICHI QUOTIDIANAMENTE A GUARDARE
CONTENUTI/PROGRAMMI TV SUL TELEVISORE E SU ALTRI SCHERMI ?
COME CAMBIA IL TEMPO A DISPOSIZIONE PER LA TV

 

 

 

 

 

 

 

Vi sono sostanzialmente due ipotesi. In primo luogo, la disponibilità di molti schermi e quindi di molti punti di contatto con il contenuto aumenta la possibilità per le audience interessate di raggiungerlo senza limiti di tempo, cioè in qualsiasi momento della giornata, di luogo, (da casa, in mobilità, ecc.), di device (pc, smartphone, tablet, Tv set, ecc.). Il secondo motivo è legato al fatto che la conversazione sui programmi televisivi non è generata solo dagli uffici stampa, ma soprattutto dalle conversazioni social che espandono e rilanciano.

Nel corso del convegno Nicole Morganti, Vice President Talent and Production Discovery Italia, ha citato Cannavacciuolo, che ha una dimensione e una conoscenza da parte delle persone che va oltre il fatto che lo si sia visto in un programma.

La cross e transmedialità del medium televisivo si può paragonare al concetto coniato da Francesco Casetti per il film, ovvero la sua rilocazione su vari device?

Termini come quello usato da Casetti si inseguono nel dibattito scientifico: rilocazione è il termine da lui utilizzato, ma ci sono altre terminologie, come crossmedialità, che è il termine più in uso da parte degli esperti di marketing, rimediazione (Bolter e Grusin) e transmedialità (Jenkins), espressione preferita da me e da Romana Andò. Indipendentemente dalla questione teorica sui termini, non stiamo parlando, nel nostro caso, ed ecco perché usiamo transmedia, della semplice redistribuzione di un prodotto su piattaforme differenti, cioè del fatto che lo stesso film lo posso vedere in molteplici forme. Stiamo dicendo invece che i testi televisivi, come la maggior parte dei testi contemporanei, perché anche per il cinema potrebbe applicarsi questo schema, nascono come testi espansi ed espandibili. Quando si progetta per esempio una puntata delle Iene, si progettano anche i luoghi dove alcuni suoi pezzi di contenuto possono funzionare, ad esempio postando una foto del programma su Instagram, facendo votare i pubblici su Facebook, ecc.. Poi c’è il lavoro creativo delle audience che in parte è fuori controllo rispetto all’attività dei producer: esse possono autonomamente appropriarsi dell’immagine della conduttrice delle Iene e commentare, rilanciare, postare su Twitter e altri social, avviando una serie di potenziali conversazioni e connessioni. Questo è il vero valore della social TV, nel senso che così vengo catturato e piacevolmente ributtato all’interno dell’universo narrativo che ho perso perché magari al momento della messa in onda del programma stavo da un’altra parte. In questo modo sono rimasto non soltanto fedele, ma sono stato anche gratificato dal poter accedere ad una trasmissione perché magari mediata da altri miei amici.

Non si tratta quindi di un semplice riversamento di contenuto: se rilocazione alludeva a questo con la TV transmediale siamo un pochino avanti, ma forse Casetti pensava a qualcosa di più.

In questo processo quale ruolo hanno i social media?

Ciascuno di queste piattaforme social svolge un ruolo, pubblico e funzioni, in termini di efficacia, differenti.

Twitter è più conosciuto perché più semplice da rilevare, è legato all’idea del liking, quindi funziona bene per lo sport, per i programmi di comunicazione politica, per le situazioni in cui tutti quanti commentano e si scambiano opinioni in tempo reale. Funziona molto bene per eventi come Sanremo: ci si distrae in quel momento dalla diretta si fa invece il commento un po’ creativo e cattivello, la battuta sull’abito indossato dal presentatore, ecc..

Facebook invece che è il più usato dal punto di vista dei commenti: se un 10% usa Twitter, un 90% va su questo social. È forse l’unico luogo dove tutti quelli che hanno una connessione a Internet passano almeno una volta, mentre Twitter è molto più elitario. Facebook svolge però un lavoro diverso da Twitter: le forme testuali e le altre forme specifiche che si possono usare qui consentono di seguire lo storytelling di una serie per lungo periodo e di fare commenti molto più espansi rispetto all’oggetto d’interesse. Sempre Facebook ha una componente di espressione della propria individualità che comunque rimane molto forte, nel senso che quando parlo di una serie TV sto anche parlando di me, dei miei processi identitari, ecc..

Instagram è straordinario per gestire e allevare le comunità di fan, e per essere un medium prevalentemente visuale.

Qual è invece il ruolo delle chat come Whatsapp?

Dopo Facebook l’uso più rilevante è quello delle chat. Qui succede un po’ di tutto, nel senso che le persone possono sollecitare l’attenzione su un programma, oppure creare addirittura gruppi di ascolto e di commento gestiti autonomamente. Ovviamente il punto di valore è la non trasparenza al di là del gruppo ristretto entro cui si scrive. La chat è una miniera fondamentale ma non può essere esplorata, perché i ricercatori non vi hanno accesso per motivi di privacy.

Quali contenuti ri – creano gli utenti all’interno dei social?

NB: non è stata portata al 100% la tabella perché sono state escluse le persone non interessate

Qualsiasi sia il contenuto che gli utenti creano riguarda una percentuale molto ridotta dei consumatori. Uno posta, nove mettono un like, novanta leggono. Allora, i contenuti sono creati da quell’1%, magari da quel 3, 5, 7%, a seconda delle statistiche, è una specie di gioco che non si è in grado di stimare con precisione. A seconda delle circostanze specifiche è possibile che la percentuale delle persone che posta sia più elevata, però in una situazione normale il livello di coinvolgimento che richiede la formulazione di un post, di un’attività, di una foto scattata dallo schermo, di un filmato, ecc., riguarda un numero ristretto. Tutti gli altri attivano la digital life del contenuto, offrendo ad esso una chance di vita ulteriore. È una scelta gestita direttamente dalle audience, quindi talvolta anche contrastante con gli intenti dei producer.

MARIA GRAZIA FALÀ