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Giorno: 22 Marzo 2017

L’Antieroina – Intervista a Milly Buonanno

 


 

Una volontà di illustrare una nuova figura, quella della woman behaving badly, che si sta affermando nella televisione globale, non solo generalista. Poi, l’antieroina come liminale, border line, che infrange numerosi tabù maschilisti come la sete di potere, la violenza, la criminalità. Inoltre, una struttura di sentimento che ha permesso tutto ciò perché sta cambiando il climate of opinion, forse complici le situazioni attuali con un maggior senso del rischio, del terrorismo.

Infine, una figura, quella della donna criminale, limitata in Italia ai prodotti nostrani, perché le serie TV trattate nel libro, anche se in parte passate sugli schermi italiani, non hanno quasi lasciato il segno.

Di questo ha parlato Milly Buonanno, già professore di Sociologia dei processi culturali alla Sapienza di Roma nonché direttore dell’OFI (Osservatorio sulla Fiction Italiana), a proposito del suo Television Antiheroines. Women Behaving Badly in Crime and Prison Drama, antologia, da lei curata, ed edita nel 2017 da Intellect.

Quali assunti intende dimostrare, in sintesi, il suo libro?

Innanzitutto il mio libro non intende essere una glorificazione in chiave femminista delle figure delle donne criminali. La mia intenzione è stata quella di portare all’attenzione un fenomeno, quello delle antieroine, che ha caratterizzato gli anni 2000 e che però era passato piuttosto inosservato, messo in ombra dalla glorificazione della figura maschile dell’antieroe. Insomma, ho voluto illustrare i cambiamenti significativi delle politiche delle rappresentazioni del femminile in TV e sostenere che le donne nella televisione del presente e del futuro, in quanto esseri umani, devono essere presentate nella gamma completa delle espressioni dell’umanità, nel bene e nel male.

 

Per quale motivo si afferma la donna criminale, l’antieroina, qualche anno dopo serie TV come I Soprano e Mad Men?

La mia idea, espressa nel libro anche dalle mie collaboratrici, è che l’antieroina non è venuta dopo, perché per qualcuno la protagonista di Sex and the City era già una figura femminile antieroica seppure non criminale. Solo dopo l’attenzione è caduta su questo fenomeno perché per i primi anni del 2000 e per il primo decennio il focus è stato fortemente concentrato sulle figure maschili, del resto protagoniste in particolare delle serie TV USA che raccoglievano non tanto audience, quanto critiche positive, anche dal mondo accademico.

L’antieroe è sempre esistito, e si fa risalire ufficialmente all’’800 con Dostoevskij, sebbene era presente anche prima. La figura antieroica rispetto all’eroe è più umana, e tendiamo a riconoscerci meglio in essa perché non si immedesima totalmente né con il buono, né con il villain. È caratterizzata, anche per quanto riguarda i personaggi femminili, da una posizione liminale, di border line, e ciò consente una identificazione senza il senso di inferiorità che i grandi eroi danno e neanche quel senso di colpa che i cattivi provano.

I personaggi femminili di cui parliamo nel libro sono esattamente così, risultano attraenti pur essendo violenti e criminali, perché comunque figure sfaccettate. Questa è, appunto, la ragione per cui sono interessanti non solo a livello accademico, ma soprattutto femminista: non è un caso che il nostro è un testo a cui hanno collaborato delle studiose che sono nomi significativi nella scholarship femminista internazionale. Quello che ci interessa da questo punto di vista è che la figura dell’antieroina rompe il cosiddetto dualismo di genere, per cui le donne sono materne, non aspirano al potere, non usano la violenza, e così via. Per questo l’antieroina è più antirivoluzionaria dell’antieroe, perché rompe gli stereotipi di genere, in quanto trasgredire e usare la violenza sono cose sempre riconosciute di pertinenza dei maschi. Essa infatti infrange un’infinità di tabù: la norma sociale della legge, le norme di genere, perché si appropria e mette a nudo prerogative storicamente riconosciute solo ai maschi, e poi, nel caso da noi scelto, le criminali, infrangono anche vittoriosamente le norme interne ai mondi devianti, come la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta, totalmente maschilisti.

Si può dire che il sorgere di antieroine televisive va correlato a una emergente struttura di sentimento che sta cambiando?

Non è qualcosa che non è mai avvenuto nella storia culturale, perché gli antieroi, soprattutto maschi, esistono da tempo, e hanno sempre suscitato un loro fascino. Tuttavia, alla fine del Novecento e all’inizio di questo millennio c’è stato un desiderio maggiore da parte delle persone di confrontarsi con gli aspetti più cupi, anche se non necessariamente criminali, dell’animo umano. Ciò forse ha anche a che vedere con il clima complessivo nel quale ci troviamo, il senso del pericolo, del terrorismo: c’è qualcosa nell’aria che crea, alimenta questa struttura di sentimento.

Nel suo libro lei dice che il modello delle women behaving badly non è limitato, nel mondo, al solo fenomeno delle TV narrowcasting, cioè non generaliste. Ce ne potrebbe fornire qualche esempio?

Di norma negli anni 2000 (ma è stato un po’ sempre così) quando si parla di novità in campo televisivo, il focus è innanzitutto la TV USA e all’interno di questa le TV via cavo e le piattaforme in streaming. Il fenomeno delle bad girls è invece globale: l’antieroina non esiste solo nella TV statunitense, e ciò è un altro elemento di differenziazione rispetto alla figura dell’antieroe, fenomeno soprattutto americano. L’antieroina si trova ovunque, in serie TV francesi, olandesi, australiane, brasiliane. Potremmo incominciare, caso più unico che raro, dall’Italia stessa, con la figura di Rosy Abate, l’antieroina di Squadra antimafia, in onda su Canale 5 dal 2009. Lo stesso si può dire di Penoza, serie TV trasmessa su una rete pubblica olandese, la NPO 3, dal 2010 al 2015, e così via.

Qual è il ruolo delle TV italiane, generaliste e no, nel produrre questo tipo di fiction?

Per quanto riguarda la produzione, essa è ancora un fenomeno estemporaneo e limitato a due soli esempi: Rosy Abate, la protagonista di Squadra antimafia e, in Gomorra, Imma Savastano, la moglie del boss Pietro che, pur non essendo la protagonista, ha sempre un ruolo di potere determinante nelle sorti della famiglia. Anche nella seconda serie di Gomorra una volta messa a morte, nella prima, questo personaggio, non c’è una figura femminile con lo stesso peso.

Qual è il ruolo delle TV italiane nell’importazione di fiction che parlano di antieroine?

Anche se alcune le ho viste, oltre che in originale, pure su canali italiani, non hanno suscitato grandi reazioni sotto quasi nessun punto di vista. Questo è anche comprensibile perché il pubblico nostrano, per quanto pienamente accostumato alla fiction USA, ha la propria enciclopedia, costituita su modelli estetici in cui tali figure di antieroine criminali sono ingombranti. Nonostante questo, un personaggio come Rosy Abate ha creato un fandom notevole.

MARIA GRAZIA FALÀ

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