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Giorno: 21 Marzo 2017

Tv Talk: “Sono uno dei fondatori dell’esperienza” – Intervista a Giorgio Simonelli

 

Giorgio Simonelli parla delle sue attività

come blogger, opinionista e ricercatore a Rai e Mediaset

Tv Talk: Sono uno dei fondatori dell’esperienza


È bello sentirsi riconosciuti per strada, anche se molti non lo ammettono perché “non fa fine”. Inoltre, studiare mass media significa anche fare divulgazione, perché i media, appunto, fanno parte della vita sociale e politica di una nazione. E, se i giornali non riportano interviste a esperti del settore, “è ora che si sveglino”. Poi, “pontiere” tra due “chiese”, Rai e Mediaset, per aver lavorato per entrambe? Definizione troppo esagerata, a parere dell’intervistato. Infine, un progetto in cantiere, una ricerca accademica sui “due” Montalbano, quello giovane e quello meno giovane. Queste, in sintesi, le dichiarazioni emerse da una chiacchierata con Giorgio Simonelli, docente di Giornalismo radiofonico e televisivo all’Università Cattolica di Milano, e dal 2002 opinionista di Tv talk, trasmissione dedicata alla comunicazione e in onda su Raitre tutti i sabati pomeriggio.

La sua attività accademica, tranne alcuni saggi, si ferma al 2014, con il suo “Il vestitino. Le buone regole dell’intervista televisiva”, composto con Federica Annecchino e Emanuele Corazzi per la casa editrice L’Ornitorinco. Perché questa scelta?

Perché i libri nascono da alcune occasioni importanti, come quella, quando due giovani collaboratori mi avevano spinto a trasformare in un libro delle lezioni, tenute alla Cattolica, da giornalisti che erano bravi intervistatori. Poi, nessun’altra occasione significativa: siccome non ritengo giusto fare libri solo perché l’attività accademica lo impone, allora sto aspettando un’altra buona occasione per scrivere. La prossima idea dovrebbe essere un lavoro incentrato soprattutto sul confronto tra le due serie dedicate a Montalbano, Il giovane Montalbano e quella classica. Per ora, però, si tratta solo di un’ipotesi.

Lei da quattro anni tiene un blog su “Il fatto quotidiano”, dove parla di televisione, e dal 2002 è consulente e opinionista di Tv Talk. Come valuta queste due esperienze?

Sono molto diverse tra loro. Quella del blog (rarissimamente scrivo sul cartaceo de “Il fatto quotidiano”) dà un grandissimo piacere, nel senso che chi è abituato come me a scrivere sostanzialmente saggi, che hanno un esito a distanza di molti mesi, qui ha l’immediatezza nelle risposte, spesso anche molto aggressive.

Qual è invece la sua storia a “Tv talk”?

“Tv Talk” ha una storia lunghissima: nasce con il nome “Il grande talk” nel 2001 ed è una creazione di Sat 2000, TV che ora si chiama TV 2000 e che è la TV della CEI e dell’Università Cattolica. Allora io ero il delegato della Cattolica a portare sul teleschermo un dibattito scientifico. Poi, ecco un provino di Minoli, che lo fa diventare un programma vero, prodotto da Sat 2000 e acquistato da Rai Educational. Infine, nel 2006 Rai Educational e TV 2000 si separano, TV 2000 continua a fare “Il grande talk” e la Rai crea “Tv talk”, di cui sono sempre stato l’opinionista e perciò, quando ho qualche contrasto con la redazione, dico sempre “Io sono uno dei fondatori dell’esperienza”. E’ stata infatti una cosa nuova che ha avuto un grandissimo successo: oggi è prodotto direttamente da Raitre ma anche fino all’anno scorso, quando era prodotto da Rai Educational, “Tv talk” era un programma visto da circa un milione di spettatori, bel risultato per un programma di tipo didattico – culturale. Inoltre, diventare uno che è riconosciuto in quanto va in Tv è una cosa che piace a tutti, anche se alcuni non lo vogliono dire perché “non fa fine”.

Non c’è un conflitto d’interesse tra la sua attività universitaria e quella di “critico militante”?

Assolutamente no. Se una ricerca accademica sui media, a differenza, diciamo, della filologia dantesca, non entra nel dibattito pubblico, non ha senso. Il ruolo dell’accademia nello studio sui media infatti è quello di dire cose che contano per la vita pubblica, per la società civile.

Ancora infatti un comunicatore non va su un giornale…

I giornali dovrebbero svegliarsi un po’, visto che oltretutto non se la passano tanto bene, e capire dove sbagliano.

Lei ha lavorato per l’Osservatorio delle tendenze sociali e culturali di Mediaset, nonché per la Direzione strategie tecnologiche della Rai. Non si è sentito un po’ diviso tra questi due mondi, oppure si pone come “pontiere”?

Non ho mai preteso di fare il pontiere. A Mediaset, dove la cosa può sembrare originale vista la sua immagine “effimera”, capita che ci siano uffici e persone illuminate, interessate alle dinamiche culturali. Quando ho lavorato lì erano gli inizi del millennio: all’ufficio marketing c’erano due dirigenti, Gian Paolo Parenti e Stefano Gnasso, che decisero di fare delle indagini sui consumi culturali degli italiani e me ne affidarono la direzione. In proposito sono usciti due libri, “Tendenze 2003. La società italiana dopo l’11 settembre” (Edizioni Il Sole 24 Ore, 2002), e “La fine della meraviglia. Media, comunicazione, società italiana” (Editori Riuniti, 2004), entrambi a cura di Gian Paolo Parenti e Stefano Gnasso. Purtroppo però chi mette le mani in queste cose qualche volta va a fare altro, e quindi si perdono delle occasioni. La mia prima collaborazione risale comunque al 1997 – 98, quando Mediaset aveva deciso di fare dei monitoraggi per vedere se c’erano delle violazioni delle regole della fascia protetta. Allora si faceva tutto in segreto anche all’interno di alcuni settori di Mediaset stessa, perché lì non dovevano sapere che analizzavamo i loro programmi.

Alla Rai, dove ho lavorato dal 2005 al 2010 come consulente, abbiamo fatto moltissime ricerche sulla radio e, nel 2009, sotto la mia consulenza e per la regia di Luigi Ciorcioloni, è stata fatta la prima ripresa di uno spettacolo teatrale in alta definizione, la “Lulù” di Carlo Bertolazzi, progetto poi rimasto in un cassetto perché non trasmissibile su una TV generalista (allora non c’era infatti Rai 5).

Qual è il ruolo di due TV generaliste come Rai e Mediaset e i canali pay come quelli di SKY e, fenomeno nuovo, Netflix?

È difficile dire qualcosa perché si sta ridefinendo un po’ tutto. Le reti generaliste sono date per anacronistiche. Mediaset oggi ha delle difficoltà perché non ha più l’immagine di novità degli anni ‘80 e ’90, la Rai rappresenta invece la tradizione. Mediaset prima si è trovata scavalcata da SKY, ed ora addirittura anche SKY si vede scavalcata da Netflix. Io credo che la multipolarità in Italia, in quanto paese di anziani, durerà molto. Poi se avanzeranno le nuove piattaforme gli altri dovranno adeguarsi, però ognuno con la propria identità. In fondo per ora Netflix, per quanto molto “parlata”, occupa un’area assai ridotta, mentre attualmente Montalbano in replica fa dieci milioni di telespettatori.

MARIA GRAZIA FALÀ