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Giorno: 16 Marzo 2017

“Evitiamo che gli ospiti dei talk show diventino una compagnia di giro” – Intervista a Edoardo Novelli

 

“Evitiamo che gli ospiti dei talk show

diventino una compagnia di giro”

 

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Una passione per la comunicazione politica che è di vecchia data, e una maniera di vedere, in questa arena, non più la tradizionale dicotomia destra/sinistra, ma quella tra televisione e politica. Poi, un modo di considerare il talk show come un “macrogenere”, che accoglie politica, ma anche attualità, gossip, cronaca, molto spesso in un unico programma. Di questo ed altro ha parlato con noi Edoardo Novelli, docente di Comunicazione politica all’Università degli Studi Roma Tre, a proposito del suo ultimo libro, “La democrazia del talk show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la politica, l’Italia”, edito da Carocci nel 2016.

Nel suo lavoro lei ha parlato di telepolitica come di quel macrogenere che comprende talk show esclusivamente politici, programmi di informazione giornalistica, di infotainment, ecc.. Cosa aggiungerebbe al suo libro a un anno di distanza dalla sua pubblicazione?

Sostanzialmente non è cambiato molto. C’è stato un dibattito nel corso degli ultimi due anni sul talk show, sulla sua ibridazione in senso social, sulla crisi o meno del suo linguaggio. Ciò è soprattutto legato alla nuova dirigenza Rai con Monica Maggioni, presidente, e Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale che, almeno da un punto di vista nominalistico, ha puntato molto sul cambiamento della narrazione nel cercare nuovi modelli per raccontare la realtà.

Molti predicono la morte del talk show, ormai inflazionato. Lei è d’accordo?

Se consideriamo il “macrogenere” del talk show, tra cui rientra quello politico, mi sembra che sia tutt’altro che in crisi, anzi, è sempre presente e sempre proposto per vari motivi: semplicità produttiva, economicità dei costi, collateralismo con il sistema politico, che ha sempre guardato con attenzione a questa forma di programma. Infatti la politica e gli stessi suoi leader che hanno decretato (Renzi per primo) che il talk show era morto, per primi lo hanno frequentato con grande assiduità. La politica moderna, quella della mediatizzazione, della personalizzazione, ha assolutamente bisogno di questi spazi.

Qual è l’interazione tra social media e talk show?

Alcuni talk show, anche se recenti, rimangono fedeli a formule già sperimentate: per esempio su La7 Giovanni Minoli il sabato sera da circa tre mesi ripropone il suo storico “Faccia a faccia”, e quello è un talk show relativo, perché è una classica intervista giornalistica. Ci sono poi talk serali come “Di martedì” con Giovanni Floris, sempre su La7, che è un salotto, anche se è cambiato trasformandosi da un salotto unico con ospiti fissi per tutta la puntata a una specie di rubrica, molto lunga, con la necessità di cambiare argomento, data la durata del programma, tre ore.

Oltre a queste forme tradizionali di talk show, ve ne sono altre più innovative. L’ultimo è ad esempio “Carta bianca”, il recente programma di Bianca Berlinguer su Raitre, che utilizza una società di ricerca per monitorare un gruppo d’ascolto che costantemente esprime una valutazione via social delle performance degli ospiti in studio. Questa è una classica forma di ibridazione già iniziata alcuni anni fa con “Il confronto”, programma appunto di confronto fra leader politici in onda su SKY. Questa trasmissione nel 2013 mandò in onda il dibattito tra Pippo Civati, Gianni Cuperlo e Matteo Renzi, candidati alla segreteria del PD, in una location all’interno dello studio di “X Factor”: il pubblico poteva votare con delle App, le stesse sperimentate per “X Factor” per valutare le performance dei cantanti. L’interazione con la rete si sviluppa poi con il fenomeno del “second screen”, cioè all’interno della rete con l’abitudine al commento e all’analisi del programma sui social. Si guarda infatti o in Tv o direttamente sull’iPad il programma e poi parallelamente si interviene, si interagisce sui social. Il fenomeno è esploso quando nel 2013 a “Servizio pubblico” (La7), condotto da Michele Santoro, nella puntata del famoso incontro di Berlusconi con Travaglio, si è registrato un picco nel traffico sulla rete.

Qual è il ruolo di un talk “serio” come “Otto e mezzo” di Lilli Gruber e di uno più leggero come “L’Arena”?

La definizione di talk seri o leggeri non dice molto: diciamo che l’uno ha un formato più strettamente giornalistico, l’altro no. “L’Arena” nasce nel 2004 – 05 come uno spazio interno a “Domenica In”, poi con il tempo si conquista una sua autonomia. Prima era un luogo dove la politica non entrava: la trasmissione era assai autoreferenziale, parlava molto dei principali fenomeni televisivi, da “Il grande fratello” a “L’isola dei famosi”, poi man mano ha iniziato a far entrare la politica. Alle elezioni del 2013 “L’Arena” ha visto tutti i principali leader politici presenti, con alcuni momenti di discussione molto duri, come il famoso fronteggiarsi tra Giletti e Berlusconi che voleva andarsene via dalla trasmissione.

Il modello della Gruber (La7) è stato invece sempre fortemente giornalistico, rigido, strutturato, con dei giornalisti, due ospiti e un servizio, quello di Paolo Pagliaro, che funge quasi da editoriale. Non si tratta quindi di serietà di un modello rispetto a un altro, ma di formati.

“Otto e mezzo” presenta poi sempre gli stessi intervistatori – opinionisti come Paolo Mieli, Marco Travaglio, Andrea Scanzi, Marco Damilano. A cosa attribuisce tutto ciò?

Ormai ci sono personaggi che sono dei professionisti dei talk show. A seconda della rappresentazione mediatica che si fa ci sono attori che funzionano di più e altri di meno. Essendoci un’inflazione di questo “macrogenere” in Italia, è ovvio che i personaggi sono sempre gli stessi e il rischio è che diventino un po’ una compagnia di giro. C’è poi scarso investimento nella ricerca di personaggi nuovi: se calano gli ascolti la trasmissione viene cancellata. C’è l’esperienza di “Politics”, talk show condotto da Gianluca Semprini (Raitre), un programma nato alla fine del 2016 come novità della stagione di Campo Dall’Orto, come nuova narrazione della politica, ma che è fallito e che ha chiuso dopo neanche una decina di puntate, sostituito da “Carta bianca”.

Si ricorre quindi ai soliti, anche se ogni programma cerca di curarsi una scuderia propria e, sebbene alcuni sono personaggi trasversali a vari programmi, altri li troviamo solo in alcuni: non vedremo mai per esempio Marco Travaglio andare a “Porta a porta”.

Come valuta la nuova proposta di Michele Santoro, “Italia” (Raidue), in onda dal 2016 senza una cadenza stabilita e che esce dalle pure logiche della piazza?

Dalle puntate che ho visto direi che Santoro è molto ritornato all’intervista: lui non era mai stato dentro lo studio ma ha sempre avuto l’idea di aprire, prima con i collegamenti, le piazze, i monitor, ora con questi servizi. “Italia” mi sembra una formula interessante che ha fatto anche dei buoni ascolti. Comunque tutti più o meno stanno cercando di scappare dalla formula di tre ore di salotto televisivo: “Otto e mezzo” funziona perché dura mezz’ora, così come “In mezz’ora”, il programma domenicale di Lucia Annunziata in onda su Raitre. Oltretutto, dopo i governi di coalizione dal 2013, non esiste più una dicotomia destra – sinistra, e quindi è estremamente difficile comporre un salotto di antagonisti che si fronteggiano.

 

MARIA GRAZIA FALÀ