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Daniela Cardini: “TV degli anni Duemila: Grande serialità e tele – cinefilia”

“TV degli anni Duemila: Grande serialità e tele – cinefilia”

Daniela Cardini in “Long TV” spiega la fiction post – 2010 e il modello Netflix

Daniela Cardini

Una serialità che parte da quella cinematografica dei primi anni del Novecento. Un anno, il 2010, che può essere considerato lo spartiacque della serialità contemporanea. Inoltre, parole – chiave come quality TV, ormai un po’ desueta, a fronte di concetti più cogenti come complex TV. Poi, un neologismo, tele – cinefilo, un termine come ecosistema narrativo, e la dimensione produttiva come nuova frontiera dei Television Studies. Infine, il modello Netflix che ha rivoluzionato con i suoi investimenti e con le sue nuove modalità di offerta la fruizione televisiva, favorendo il binge watching ma anche la visione tantrica. Sono questi i punti tracciati da Daniela Cardini, docente di Teorie e tecniche del linguaggio televisivo presso l’Università IULM di Milano, nel suo recente Long TV. Le serie televisive viste da vicino, edito da poco per Unicopli.

La serialità, come ha detto Monica Dall’Asta, non nasce con la televisione, ma ha dei prodromi già nel cinema delle origini…

È risaputo che la serialità non è nata con la TV e nemmeno con il cinema, ma che ha una sua radice nella letteratura e nel feuilleton ottocentesco in Francia, con tante forme legate alla serializzazione del prodotto culturale che in quel periodo si sviluppava industrialmente. Il cinema ha attraversato una fase seriale al suo inizio. Essa ha diverse motivazioni: uno degli aspetti più interessanti è il fatto che la serialità si sviluppasse attorno a un personaggio o a un attore piuttosto che attorno a un tema, con una serializzazione di tipo quasi divistico: se certi generi si impongono come le comiche o il western è anche perché intorno a un personaggio si sviluppa un’attesa di ripetizione delle storie ad esso legate.

Perché il 2010 può essere considerato come lo spartiacque della serialità contemporanea?

Nel 2010 mi è sembrato che si coagulassero varie occorrenze. È l’anno di chiusura di Lost e, dal punto di vista della serialità, esso è stato forse il prodotto più interessante dall’inizio del millennio perché ha cambiato le regole del gioco, e la fine di Lost nel 2010 ha fatto sì che si sperimentasse nei fan della serie un senso di perdita, di elaborazione di un lutto, cosa che fino a quel momento nella serialità non era mai stato avvertito in maniera così forte. In quel periodo ci sono molti prodotti che debuttano. In pochissimi anni, dal 2010 al 2015, prendono corpo i titoli più forti dell’ultimo periodo, da Game of Thrones a True Detective, Mad Man è alla sua terza stagione, c’è un’esplosione di quella che è denominabile come Grande Serialità.

Lei ha distinto tre grandi Golde Age della serialità televisiva. Non è d’accordo con Jason Mittell quando diceva che non si può dire propriamente così, dato che vi sono fiumi carsici che scompaiono e poi riemergono?

Tutte le periodizzazioni hanno dei limiti, ma quello che mi sembra importante è che in tre fasi precise, più o meno riconoscibili nella storia della TV occidentale, la serialità ha assunto forme e formati diversi. È quindi vero che ci sono delle riprese e delle interruzioni, ma è altrettanto vero che esistono delle omogeneità e il discorso sulla serialità che si può far risalire agli ultimi sei – sette anni si è precisato in maniera del tutto diversa da quanto accaduto negli anni precedenti. L’interesse verso la serialità ha assunto forme e anche un impatto, e non solo sulla riflessione accademica, che fino a quel momento non aveva.

Potrebbe definire parole – chiave utili per tratteggiare la Grande Serialità come quality TV e complex TV?

Quality TV è un vecchio cavallo di battaglia dei Television Studies e non solo, e fortunatamente negli ultimi anni è stato un po’ accantonato, perché è un concetto molto riduttivo che presuppone che esista una TV cattiva e una TV buona, che vi sia un modo giusto e uno sbagliato di produrre contenuti televisivi e non solo, perché ci sono anche film e romanzi di qualità: si tratta di intendersi su cosa si voglia dire con questo termine. Quality TV è un’espressione che non amo molto, preferisco parlare di complessità, e in questo sono abbastanza d’accordo con Mittell che ha coniato questo termine, dove complessità risponde molto meglio alla fisionomia della serialità contemporanea pur non aderendo completamente alla fisionomia della nuova serialità. Si può parlare di complessità dal punto di vista produttivo, narrativo, delle qualità estetiche, e anche di una complessità di fruizione, perché ci sono modi diversi di approcciarsi alla serialità. Quindi, forse più che complessità, viene da parlare di differenziazione, di densità.

Lei ha poi coniato il termine tele – cinefilia…

Tele – cinefilia è un termine a cui sono affezionata, che mi è venuto in mente perché individua secondo me una categoria non solo di spettatore, ma anche di studioso che si è precisata negli ultimi anni in concomitanza con la nascita, come dicevo prima, di questa nuova ondata di prodotti seriali complessi o densi. Il tele – cinefilo è una specie di archetipo, è uno che si avvicina alla serialità cercando di togliere tutte le componenti televisive, proprio perché la TV viene considerata a un livello meno prestigioso rispetto al cinema. Il tele – cinefilo si avvicina alla serialità come si avvicina a certo cinema “di qualità”, se vogliamo usare questo termine un po’ desueto. La serialità attuale è più complessa del film e della TV, ma assorbe entrambi i campi, li rielabora, facendone uscire qualcosa di completamente diverso da quanto visto fino ad oggi. Non si può quindi parlare né di un lungo film, né di serialità spiccatamente televisiva rispetto a certi prodotti contemporanei, però allo stesso tempo è corretto non dimenticare che, anche se il discorso seriale è nato pure nel cinema, nella TV ha trovato per anni, decenni, il suo luogo d’elezione per le caratteristiche tipiche del mezzo. In questo senso ho pensato che esiste un tele – cinefilo per quanto riguarda la grande serialità, perché come essa mette insieme cinema e TV, anche il tele – cinefilo unisce atteggiamenti di fruizione tipici di chi guarda la TV e di chi si rapporta al prodotto film, all’unicità dell’opera.

Cosa dire, infine, dell’ecosistema narrativo?

Quanto all’ecosistema narrativo, che non è un concetto mio, si pensa al prodotto seriale come a un qualcosa di non finito, ma che appartiene a un ecosistema, soggetto alle stesse tensioni e alle stesse spinte di trasformazione che riguardano gli ecosistemi naturali.

Quanto conta la dimensione produttiva nella creazione delle serie TV? E quanto fino ad oggi è stata sottovalutata?

La grande serialità contemporanea deve moltissimo a investimenti produttivi ingenti. La dimensione produttiva è stata sottovalutata non tanto dal punto di vista tecnico – professionistico, ma dal punto di vista teorico (in America recentemente ne ha parlato Amanda D. Lotz ma ancor prima David Hesmondalgh). I production studies secondo lo studio della TV e del cinema sono sempre stati abbastanza marginali, e a torto, perché l’aspetto produttivo è un aspetto, mi scusi il gioco di parole, estremamente produttivo. La complessità di cui si parlava prima è sicuramente funzione di una complessità produttiva. Essa significa che devono essere rispettati i cosiddetti production values, i valori produttivi che rendono possibile il raggiungimento di un elevato livello qualitativo in una serie. Se Netflix non avesse la possibilità di investire dei budget estremamente consistenti, la qualità dei suoi prodotti sicuramente ne risentirebbe. Questo non significa che a elevati budget corrisponda sempre un buon prodotto o un prodotto di successo: ci sono tantissimi esempi di flop, pensiamo a Vynil, o a serie musicali come ad es The Get Down, che non hanno funzionato a fronte di grandissime risorse economiche investite.

Cosa si intende, dunque, per production values, e qual è la situazione italiana degli studi in questo settore?

Production values vuol dire riuscire a ottenere con i mezzi a disposizione il miglior risultato possibile. Questo può essere vero anche per una soap opera, però si tratta di capire se le routine produttive sortiscono l’effetto desiderato. Bisogna studiarli, i production values, molto di più, occorre capire meglio come funziona la serialità da un punto di vista produttivo, perché è un ambito relativamente poco esplorato, soprattutto dalla nostra accademia, dove il testo e il pubblico sono stati i nuclei principali di studio.

Quanto conta l’ingresso del modello Netflix?

Esso ha cambiato completamente le carte in tavola per quanto riguarda non solo gli investimenti, ma anche le modalità di fruizione e di messa in forma del prodotto seriale. Questo significa che Netflix ha promosso la possibilità di fruire di un’unica stagione in un’unica soluzione, quindi favorendo la pratica del binge watching, trattando la serialità come un blocco unico, non producendo più puntata per puntata ma tutta la stagione nella sua totalità. Ciò vuol dire rovesciare la logica del pilot: sulla base del successo del pilot nell’epoca precedente la puntata pilota aveva una funzione economica molto precisa. Essa ancora funziona nei network, ancora esiste, però comperare una puntata pilota, vedere come va e poi produrre una serie è molto diverso dal comprare una serie tutta intera o dal mandarla in onda (release) in questo modo. Netflix quindi ha davvero cambiato le regole del gioco proponendo una formula narrativa e produttiva completamente nuova, che ha cambiato le abitudini di fruizione. Allo stesso tempo però non ha promosso solo il binge watching, ma anche, grazie a certi suoi prodotti di livello altissimo come The Crown, un’opposta modalità di fruizione, detta tantrica. Una serie cioè la voglio vedere un po’ alla volta, la voglio tenere lì perché me la voglio guardare assaporandola, perché lo merita, e questo è lo stesso Netflix che lo fa, proponendo tutta la serie in una volta. Avendola sempre a disposizione è come comprarsi un romanzo, lo si mette nello scaffale e si decide se leggerlo tutto in una notte oppure se assaporarlo in un mese, o andare avanti e indietro.

Questo naturalmente vale anche per la situazione italiana, perché Netflix è un modello trasversale.

MARIA GRAZIA FALÀ

 

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